Le librerie sono piene di pubblicazioni su Roger Federer, ma almeno in Italia c'era un buco nero su Rafa Nadal: Vincenzo Martucci, per 34 anni inviato della Gazzetta dello Sport su tutti i principali eventi sportivi mondiali e grande specialista di tennis (già collaboratore dell'Agi), ha cercato di colmarlo con una storia dello straordinario mancino di Spagna. Che è andato oltre, la superficie dov'è nato, aggiudicandosi 12 edizioni-record del Roland Garros, crescendo così tanto negli anni da minacciare il record di 20 Slam di Roger Federer (lo scorso week end la sua Spagna, grazie soprattutto a lui, ha vinto la sesta Coppa Davis della sua storia a Madrid). Vi proponiamo stralci di un capitolo di "Nadal l'extraterrestre" che si può prenotare su Amazon e in libreria.
Rafa Nadal adora la terra rossa: “È una superficie che ti fa vivere i momenti, te li fa interpretare, ti permette di giocare in tanti modi ed avere sempre successo. Ti dà la possibilità di adattarti a tante diverse situazioni, ti abitua a giocare tutti i colpi, ti spinge a gestire e a spingere a difenderti e ad attaccare, un colpo dietro l’altro, cambiando continuamente le situazioni, e cercando l’occasione giusta, senza aver fretta, costruendo il colpo. Devi avere una forte strategia difensiva, devi essere in forma, devi essere veloce come se corressi i 100 metri piani e devi essere resistente come un maratoneta ”.
Ma perché è così forte sui campi in terra battuta? Come ha fatto ad aggiudicarsi 59 titoli – su 84 ogni superficie - in 67 finali (perdendo appena due volte nel torneo), inclusi 12 urrà al Roland Garros, 11 a Monte Carlo e Barcellona, 9 a Roma e a 5 Madrid? Pat Cash campione australiano di Wimbledon 1987, oggi telecronista ed opinionista è stato il primo degli ex campioni a rimanere a bocca aperta davanti al mancino di Maiorca. “Dovevo giocare un’esibizione sull’isola con Becker, mezz’ora prima, Boris si fa male e non può scendere in campo.
Mi dicono: “Giocherai con un quattordicenne, è di qui, è l’unico tennista disponibile, così, all’ultimo minuto”. Perciò vado in campo pensando a come trovare il modo per fargli fare qualche game. Invece, a sorpresa, perdo facile, e solo allora gli chiedo come si chiami, e incrocio per la prima volta quel nome: Rafael Nadal”. Il grande attaccante non ha ancora finito di sorprendersi dello spagnolo: “La spiegazione principale della sua superiorità sulla terra rossa sta nel fatto che è incredibilmente veloce, è un atleta fenomenale che arriva sempre benissimo su qualunque palla e la rimanda continuamente di là del net. Il suo gioco di piedi sulla superficie è assolutamente affascinante.
Non ho mai visto nessun altro muoversi così bene là sopra. E, sulla terra, arrivare bene, e prima, è fondamentale”. Con gli applausi del precedente dominatore del rosso, Bjorn Borg, campione di 30 titoli sulla, superfici, fra cui 6 Roland Garros: “Per vincere sulla terra devi allenare tantissimo il gioco di piedi e il posizionamento sulla palla, per individuare il punto esatto dell’impatto e coordinarlo coi movimenti: Nadal ha lavorato così tanto per sviluppare il rovescio, soprattutto incrociato, che non è solo un colpo offensivo ma anche un colpo difensivo. Gioca con una intensità davvero tremenda, come se ogni punto fosse il match point. Ha un eccellente gioco di piedi, è estremamente veloce, trova sempre la posizione e difficilmente è fuori equilibrio”.
Eppure, quando pensi al più grande campione del pianeta rosso pensi soprattutto alla terrificante spazzolata del suo gancio mancino, al portentoso top spin di dritto, incubo di qualsiasi avversario, un colpo che resterà nella storia del tennis. “Non avevamo mai visto nessuno mettere tanto effetto, quella sua palla così pesante diventa molto molto difficile da controllare sulla superficie che gli dà più tempo per colpire in quel modo”, sempre per Cash. Mentre, secondo il professor Tim Bennett, specialista di Sport ed Esercizi di Biomeccanica alla Leeds Beckett University, quello che noi vediamo a occhio nudo quando la palla dello spagnolo atterra e prende vita più di qualsiasi altra palla da tennis è un segreto semplice semplice.
“La terra rossa è la superficie più lenta, dove la palla rimbalza più alta. Dopo l’impatto con il suolo, viene fuori con un angolo più alto e anche con un po’ di resistenza e questo dà alla palla di Nadal un po’ di vitalità in più perché lui effettua il dritto imprimendogli uno spin maggiore degli altri, tirando il colpo con una tecnica così particolare, non con la racchetta orizzontale rispetto al terreno, ma con una forte torsione del polso e del braccio dl basso verso l’alto, generando un giro superiore ed ottenendo due risultati insieme. Consente alla palla di viaggiare sopra la rete a una distanza di sicurezza, diminuendo il margine d’errore, e carica di rotazione e quindi di potenza e di peso la palla stessa, aumentando le difficoltà di controllo da parte dell’avversario una volta che il proiettile ha superato la rete. Costringendolo a tirare un altro colpo, a lavorare sempre molto di gambe e di braccio per controllarla e respingerla, arretrando su quel proiettile che schizza in alto e spinge all’indietro, in campo, sui teloni di fondo. Con la necessità sempre più crescente urgente e crescente di generare nuova potenza dal proprio colpo per mettere in difficoltà Rafa”.
Quel dritto-monstre è oggetto di studi approfonditi da parte di tutti. Addirittura, il sito tennisplayer.net stabilisce che la palla generata dal dritto in top spin da Rafa Nadal effettua fino a 4900 giri al minuto, a una media di 3200, una trottola incontrollabile, rispetto ai 2700 della palla di Federer, lontana anni luce da quello di un ex dominatore come Pete Sampras, anche se molto vicina a quella di altri “frullatori” come Sergi Bruguera e Thomas Muster che andavano a una media di 3300 giri, ma arrivavano al massimo a 3750. Nessuno ha forzato così tanto il movimento di avambraccio e polso verso l’alto, con strappo della spalla nella sua super rotazione come Rafa. Che, quindi, deve fare tantissimo lavoro di potenziamento muscolare e, comunque, davanti a simili sollecitazioni, è oggetto di molti infortuni. Comunque sia, questo roteare della sua scimitarra di Rafa spedisce all’inferno gli avversari.
Un inferno triplo, considerando lo stress della gara, la pressione del punteggio e la fatica, e in più la certezza che quella morsa terrificante psico-fisica non ha una fine: il calvario, il pesante e implacabile ritmo di palleggio impresso da Nadal, riparte ad ogni rimessa della palla in gioco, e ancora e ancora. Costringendo a un lavoro insolito e particolarmente impegnativo ed insolito i giocatori moderni, così abituati dall’uno-due servizio-dritto delle altre superfici – che sono prevalenti nella stagione agonistica - a chiudere in fretta i punti o almeno a cercare subito la soluzione. Cambiare gioco, scambiare precisione e qualità con quantità e regolarità, accettare le regole di casa-Rafa, entrare nel vortice degli scambi lunghi da fondocampo imposti da quel diavolo di spagnolo si traduce, negli anni, in un suicidio o in una fuga, o in disperati e sconsiderati quanto improbabili tentativi. Come si nota anche nel punteggio della maggior parte dei match vinti dal più grande campione della terra rossa di sempre, con gli ultimi set sempre più poveri di games per le sue vittime.