AGI - Il 7 luglio del 2003 in tutta Europa, ma soprattutto in Gran Bretagna, si ballava sulle note di "Crazy in Love" di Beyoncé, la ex frontwoman delle Destiny's Child che spopolava con il suo danzare sensuale e potente allo stesso tempo, uno stile aggressivo ed eccitante che sapeva di nuovo. Nel pomeriggio di quella domenica nel catino di Wimbledon un'altra stella conquistò il successo che avrebbe inaugurato un fenomeno capace di issarsi oltre il tifo sportivo, tennistico nella fattispecie, per diventare qualcos'altro.
Quell'altra stella scuoteva i sensi in modo diverso rispetto a Beyoncé ma il suo stile vincente sarebbe diventato fonte di ispirazione per milioni di persone dentro al campo da tennis. Ma soprattutto fuori. Roger Federer a 22 anni vinse il titolo più ambito del pianeta superando in tre set Mark Philippoussis, l'australiano che mai avrebbe immaginato, in quella giornata, che il futuro gli avrebbe riservato un cammino ben diverso da quello glorioso di Roger.
Uno svizzero che vince sui prati di Wimbledon (otto titoli che potrebbero essere eguagliati da Djokovic in questa edizione, Alcaraz permettendo): non che il tennis rossocrociato fosse un mondo appartenente a un'altra galassia: i fratelli Gunthardt, Marco Rosset e Jacob Hlasek erano i nomi piu' conosciuti di un movimento che nel tennis internazionale era ben presente e faceva sentire la sua voce.
In quello stesso anno Martina Hingis, il talento geometrico del tennis femminile annuncerà il suo primo ritiro (ne seguiranno altri due) dal tennis dopo essere stata la prima giocatrice del pianeta. Eppure in pochi, quel giorno a Wimbledon, avrebbe previsto che quel tennista straordinario dal volto non particolarmente accattivante sarebbe diventato un magister elegantiarum nonché uno degli sportivi più amati del pianeta.
Che avrebbe dominato il tennis invece questo sì, era già chiaro prima e quel primo trionfo londinese. Costante e intelligente sul servizio, capace di dominare i mefitici rimbalzi della pallina sull'erba, in grado di giocare con i piedi dentro al campo eseguendo con il massimo della naturalezza colpi a ridotto movimento del braccio che parevano essergli stati consegnati con un pacco dono da Tilden, Rosewall e Laver, campioni che giocavano quando la pallina però viaggiava alla metà della velocità: tutti indizi che confermavano come il tennis avesse trovato il suo nuovo Re, dopo il tramonto della diarchia Sampras-Agassi.
Una storia, quella di Roger a Wimbledon, che si sarebbe conclusa solo sedici anni dopo, quando Roger nella finale contro Djokovic pagò in un colpo solo (sotto forma di due matchpoint falliti) il tributo a quegli dei che lo avevano omaggiato della dose di talento più elevata forse della storia. Il 6 luglio di cinque anni, dopo, nel 2008 invece a Londra si ballava sulle note di Rihanna e Kate Perry mentre Roger perse la finale al quinto set contro Rafa Nadal quando su Church Road calavano le ombre della sera.
EXCLUSIVE: "I hope he does it to be honest, because I think anything more he does adds to tennis history."
— CNN Sports (@cnnsport) July 5, 2023
Roger Federer tells @chrissymacCNN that he welcomes Novak Djokovic equaling his #Wimbledon records. pic.twitter.com/GGvMekYjFp
Ma al quinto posto di quella classifica c'era 'Viva la Vida' dei Coldplay: un titolo che potrebbe benissimo essere eletto slogan della rivalità più entusiasmante che lo sport planetario ha vissuto nel terzo millennio. Quella finale persa entrò manco a dirlo nella storia: ma un Roger più maturo e dal volto assai più funzionale alla bellezza del suo tennis in quella domenica salì un altro gradino nella scala verso l'empireo: quella di vincere anche perdendo. Viva la vida, per l'appunto. E a questo punto non è un caso che Roger sia appena salito a sorpresa sul palco dei Coldplay a Zurigo, armato non di racchetta ma di maracas.