AGI - Il re Carlo III d’Inghilterra, notoriamente dotato di sano humour non invocherà la lesa maestà davanti alla celebrazione di un nuovo omonimo monarca: a New York, sull’Arthur Ashe stadium, con la vittoria dell’Us Open su Casper Ruud in quattro set (6/4-2/6-7/6- 6/3) Carlos Alcaraz è appena diventato il nuovo re del tennis, il più giovane di sempre.
Vincendo il suo primo Slam a 19 anni e quattro mesi è diventato re Carlos III, il terzo dell’era tennistica spagnola dopo Carlos Moya e (Juan) Carlos Ferrero, il suo coach che ha patito parecchio nel box, rivivendo le stesse emozioni provate in campo 19 anni fa (e qui ci sarebbe da scomodare la Cabala visto che il 19 è un numero ricorrente) quando, battendo Agassi in semifinale proprio allo Us Open, divenne lui il numero uno del mondo.
Alcaraz che è anche il terzo Carlos di famiglia dopo il nonno e il padre, tennista professionista anche lui, ha mandato in visibilio il pubblico dell’Arthur Ashe con colpi chirurgici sulle righe, vincenti, recuperi al limite dell’impossibile, drop shot (qualche volta scriteriati) e impavide discese a rete nei momenti più complicati del match, come quando ha dovuto annullare due set point nel terzo prima di vincerlo al tie break.
Non a caso aveva scritto “Never give up” sul suo profilo Instagram Carlitosalcarazz (1 milione e 700mila follower) dopo la vittoria in semifinale contro Tiafoe. E non ha mollato mai neanche contro il norvegese che aveva già battuto nei due confronti precedenti e che cercava anche lui il primo Slam e la leadership mondiale.
È sembrato che quelle venti ore passate in campo nei turni precedenti non fossero mai esistite, che quei cinque set per tre (ottavi contro Cilic, quarti nel match da incorniciare contro Sinner con cui, anche Ferrero dixit, Alcaraz formerà la coppia antagonista che sostituirà gli epici scontri Nadal-Federer o Federer-Djokovic, e la semifinale contro Tiafoe) fossero andati in scena l’anno scorso e non pochi giorni fa. Anzi, gli sono evidentemente serviti: “L'anno scorso avevo giocato solo tre Grandi Slam prima degli US Open e avevo disputato solo un match di cinque set - aveva spiegato lo spagnolo dopo la semifinale - Ora che ne ho giocate di più (vincendone 8 su 9, ndr) sono più preparato mentalmente e fisicamente. Mi sento benissimo in questo momento, sono così felice. Ho pensato al giovane me di 10 anni fa che sognava questo momento. A quel ragazzo direi di seguire il suo sogno. Se lavori duro, tutto gli sforzi fatti verranno ripagati”.
E ha lavorato davvero duramente il ragazzo velocissimo, agile e potente, con una varietà di colpi che appartiene a pochi, che ha cominciato a giocare a tre anni nella scuola di tennis del padre ispirandosi a Nadal e a dieci anni (quando ancora lo chiamavano “spaghettino” per via della sua magrezza) era già campione regionale under 10.
Quattro anni fa è entrato nell’accademia Equelite di Vilena di Ferrero, dove è seguito da un team di dieci persone. “Juan Carlos mi ha cambiato la vita, con lui mi sono evoluto: ho messo su muscoli, sono cresciuto, sono diventato più duro sul campo” ha dichiarato il campione che alza il pugno e il mento fieramente compiaciuto dopo ogni prodezza. A New York ne ha fatte vedere tante. God save the king, il nuovo re del tennis. Vamos, Carlos III.