AGI - Guardi Nick Kyrgios fare a pezzi in modo spettacolare, autorevole e persino sorridente il numero uno del mondo Daniil Medvedev e ti viene in mente “Una poltrona per due” con la sua trama che poggiava su una scommessa: se prendiamo un malcapitato, ma tanto malcapitato, diciamo un malcapitato problematico e lo mettiamo nelle condizioni giuste per scrollarsi di dosso i problemi diventerà o no identico (nel bene e nel male) a coloro che prima lo cacciavano fuori a calci dal loro elitario club?
Chi ha letto o sentito le parole da campione pentito e responsabile dell’australiano (“sono stato troppo duro in passato con me, era malsano” e “sto cercando di rendermi utile anche per il mio team”) dopo la vittoria contro il russo che lo ha catapultato a giocare il quarto di finale contro Khachanov e un’eventuale semifinale dello Us Open contro il vincente della sfida contro il nostro Berrettini e Ruud, si è sicuramente chiesto: cosa c’entra questo Kyrgios con quello che scagliava sedie in campo, che prendeva a male parole i giudici di sedia e il suo team, che tirava pallate contro il mondo? Cosa gli è successo?
E’ successo che dopo la finale di Wimbledon contro Djokovic il bad Nick, 27 anni e numero 25 del ranking mondiale (ma alla fine del torneo sarà almeno nei primi venti) si è trovato a poter sedere in quel club da cui prima riceveva soli sguardi di disgusto. Né più né meno come Eddie Murphy che di colpo si trova a essere apprezzato. Ricordate la premiazione post-finale ai Championships? Sul campo più importante del pianeta Kyrgios nonostante la canotta poco british aveva la faccia (e pure l’eloquio) di chi si sente voluto, apprezzato.
Kyrgios si era messo da solo negli abiti del bad boy del tennis mondiale e da solo ne è uscito, lasciandosi alle spalle, come ha detto nella conferenza stampa post match “la depressione, le stituazioni mentalmente difficili, i posti spaventosi e le delusioni che infliggevo agli altri”. Il tennis stellare che l’australiano ha messo in scena contro Medvedev gli apparteneva da anni: ma qualcosa è scattato nel suo cervello per quanto concerne la considerazione di se stesso. Nell’albo d’oro a tutti noi piacerebbe il nome di un italiano, ma oggi, per questa ragione (e per l’uscita anticipata di Nadal, che avrebbe dovuto incontrare nell’eventuale finale) è lui il favorito per la vittoria nello Us Open, . Per la prima volta in carriera Nick ha abbandonato la strada del tennis-lo-gioco-ma-lo-odio che lo avrebbe condotto sulla una china molto simile a quella del povero Benoit Paire; e ha usato termini come “responsabilità” (riferito ai membri del suo team), “duro lavoro”, “rispetto”. Visto cosa può fare una finale sull’erba di Wimbledon?
La zona oscura di Nick ovviamente non è del tutto scomparsa. Ogni tanto affiora come la pinna di uno squalo. Ne sono piccole prove la scriteriata invasione di campo praticata (per la gioia dei tifosi) contro Medvedev, quando è andato a completare lo smash nel campo dell’avversario perdendo consapevolmente il punto che lo avrebbe portato alla palla break. E pure il lamento (“perché sento odore di marjuana dagli spalti e mi disturba”) di un paio di giorni fa non è da tennista modello. Ma la sensazione è che l’essere entrato nel club grazie alla semifinale di Londra abbia compiuto davvero un piccolo miracolo. E se, alla fine, Nick dovesse conquistare il suo primo titolo Slam a New York, allora sarebbe proprio come il finale di “Una poltrona per due”: il reietto che spedisce in povertà (si fa per dire) coloro che lo lasciavano fuori dalla porta. Un Natale estivo, insomma. Sperando poi quello che ha detto “altri tre match e non dovrò più giocare a tennis” fosse il vecchio Nick e non il nuovo. Il good boy deve ancora farci divertire tanto.