AGI - Per capire l’eccezionalità di Rafa Nadal bisogna scomodare Tazio Nuvolari. E tornare al 1 settembre del 1925.
Gran premio delle Nazioni, Monza. Nivola (che in quel periodo alternava corse in auto e in moto) aveva provato in precedenza l’Alfa Romeo P2: avrebbe dovuto diventare il sostituto di Ascari.
L’auto lo tradì, si capovolse, il pilota uscì dall’abitacolo con fratture varie e lussazioni. I medici dissero che prima di un mese non avrebbe potuto rimettersi in piedi.
Lui invece si fece confezionare una specie di tuta di cuoio che lo bloccava in sella alla moto (la Freccia Celeste della Bianchi). Si fece issare in sella, corse la gara e la vinse. Dopo dichiarò a Indro Montanelli: “Sentii i piedi sguazzarmi dentro gli scarpini, come quando vai a caccia in una palude. Quanta acqua, pensai. Invece era sangue colato dalle ferite”.
Ecco, i piedi. Anzi: il piede. Quello sinistro che è stato completamente anestetizzato ogni singolo giorno durante il Roland Garros, al fine di mettere in condizione Rafa Nadal di allenarsi, giocare e vincere, come è successo, il 14esimo titolo parigino.
Un record eterno nel senso che non è pensabile, a tutt’oggi e in tempi che non scivolino nella fantascienza, che qualcuno riesca a superare. Forse nel metaverso, in una realtà parallela, potrà succedere: nella nostra no.
Ecco perché ci troviamo di fronte a un unicum nella storia del tennis e dello sport: Nadal ha firmato un record insuperabile. È andato oltre il limite. Nadal che vince a Parigi senza avere percezione del suo piede e rischiando così a ogni scatto, a ogni scivolata, di prodursi lesioni gravissime, ha rimodellato la storia del tennis dando una valenza diversa anche ai record degli altri.
Se i due Gran Slam di Laver (uno conquistato peraltro, senza i professionisti avessero accesso ai tornei major) o gli otto titoli a Wimbledon di Federer parevano fino a ieri le colonne d’Ercole del tennis, un limite oltre al quale non si può andare, oggi quei record appartengono a una statistica di livello meno elevato. Perché 14 titoli a Roland Garros di cui l’ultimo conquistato con un fisico gravemente menomato, rappresentano una mutazione del possibile.
Nel tennis i cui confini stati ridisegnati da Nadal quanto spazio c’è per gli altri? Intanto Rafa (che a Wimbledon ci sarà solo se riuscirà a rendere la sindrome di Muller-Weiss che lo affligge in misura cronica meno dolorosa senza ricorrere alla infiltrazioni) in linea puramente teorica potrebbe ridisegnare ancora i confini del suo sport tentando l’assalto al Grande Slam. Improbabile ma possibile.
Anche se Djokovic dovesse prima o poi riuscire a superare il numero di titoli major che Rafa ha vinto a tutt’oggi (22 lo spagnolo, 20 il serbo) la situazione non cambierebbe di molto. A parte Federer (il cui carisma è impermeabile ai record altrui) tutti gli altri compreso Nole sono stati condannati da domenica a essere una splendida e lussureggiante generazione di mezzo.
Medvedev, Zverev (che, ahilui, ha guadagnato in peso specifico della sua immagine assai più con il tremendo infortunio di cui è stato vittima in campo che non con i suoi risultati), il mezzo desaparecido Thiem, Ruud, Berrettini sono interpreti di uno show di cui Rafa non fa più parte. Lui è altrove.
Il vero grande interrogativo che il tennis oggi si pone è se Alcaraz, Rune, Sinner e altri ed altri eventuali dovranno accontentarsi di prendere parte a un lussuosissimo sottoclou storico oppure potranno, prima o poi, lanciare la sfida alla figura cosmica più che ai record di Nadal. E oggi nessuno può sostenere che sarà così.