L a fonte era credibile due volte: perché è un giornalista noto (Simon Briggs) e inglese, vicina quindi alle segrete cose del tennis mondiale. Andrea Gaudenzi è davvero diventato il successore di Chris Kermode come CEO (Chief Executive Officer) dell’Atp, il sindacato che gestisce il circuito dei tennisti professionisti al di fuori dei tornei dello Slam. Lo avevamo anticipato su Agi una settimana fa.
La notizia, sorprende e no, perché l’ex pro, nato a Faenza il 30 luglio 1973, dopo essere arrivato al numero 18 del mondo il 27 febbraio 1995, con tre titoli di singolare (e due di doppio), l’anno in cui toccò le semifinali di Montecarlo come maggior risultato della carriera nei tornei più importanti, è uno dei pochi tennisti italiani laureati (in Giurisprudenza a Bologna), peraltro con anche un masters in Business administration.
Da manager, ha seguito part-time Fabio Fognini, da Londra, città dove lavora come imprenditore di startup nel settore tecnologico. E, da un paio d’anni, si è riavvicinato al tennis entrando nel ATP Media, società che detiene e commercializza i diritti dei tornei Masters 1000, 500 e 250.
Andrea, tennista per tradizione di famiglia e di città, talento precoce, da campione juniores al Roland Garros e agli US Open 1990, uno dei primi italiani ad affidarsi a un coach straniero abbandonando il suo paese, fallì l’esperimento col sudafricano Bob Hewitt e per trovare la situazione ideale presso il gruppo formato da Thomas Muster e dal suo particolare allanatore-motivatore-manager, l’ex giornalista Ronnie Leitgeb, a Vienna.
Solido giocatore da fondocampo, forgiato proprio alla scuola del famoso tennista austriaco, si fece male spesso, lo ricordiamo simpatico protagonista nel quarto turno del Roland Garros 1994, il suo migliore risultato nello Slam. Sul campo centrale si arrese al favorito, Goran Ivanisevic, dopo una dura battaglia terminata per 6-2 5-7 6-4 6-3. L’arbitro ebbe una necessità fisiologica, e abbandonò il campo per qualche minuto, così Andrea, per intrattenere il pubblico sconcertato dalla insolita situazione, salì sul seggiolone e annunciò, scherzando: “Game, set and match, Andrea Gaudenzi”.
Il famoso mancino croato era peraltro uno dei suoi migliori amici e insieme conquistarono poi il torneo di Milano di doppio 1996. Era amicissimo anche di Muster. Ma non gli strinse polemicamente la mano dopo la semifinale di Montecarlo 1995. Andrea stava giocando il miglior tennis della carriera, aveva superato Kafelnikov e Bruguera, stava giocando alla pari se non meglio del compagno d’allenamenti ma quello accentuò le difficoltà fisiche, accennando più volte a un possibile, imminente, ritiro, per poi imporsi comunque per 6-3 7-6 e resuscitare il giorno dopo nella finale contro Boris Becker.
Nel 1998, poi, Gaudenzi, che ha sempre mostrato una spiccata personalità, contrastò la Fit sulla divisione dei premi ITF, riportò gli azzurri in finale in coppa Davis contro la Svezia, giocò con una spalla destra da operare e dovette ritirarsi contro Magnus Norman sul 6-6 del quinto set, per un drammatico strappo al tendine. L’Italia perse nettamente 4-1 e lui si sottopose pochi giorni dopo all’operazione chirurgica che aveva rimandato per non abbandonare la squadra.
Gaudenzi, che si è ritirato nel 2003 a seguito di più infortuni, guidò una clamorosa protesta dei giocatori contro la Fit per una diversa distribuzione dei premi di coppa Davis, tanto che nel 2001 l’Italia schierò l’Italia B contro la Finlandia. Quell’ammutinamento apri comunque una nuova frontiera anche con l’ingresso dei coach privati in nazionale, avvicinando alla pacificazione nell’ambiente.
Ora, il tennista-sindacalista prenderà il posto dell’inglese Kermode e diventerà l’ago della bilancia nella disputa anche fra i più forti, il n. 1 del consiglio dei giocatori, Djokovic, e gli storici avversari in campo, Federer e Nadal, che sono appena rientrato anche loro nel board in difesa degli interessi. Degli altri, e propri. In un momento delicatissimo del tennis, con la rivoluzionata coppa Davis, la nuova Atp Cup e la Laver Cup, e il trapasso fra la vecchia e la nuova generazione.
Per il tennis italiano, che rialza la testa imperiosamente in campo agonistico maschile con Fabio Fognini, Matteo Berrettini, i giovani Sinner, Musetti e Sonego (con un Cecchinato da recuperare), e in campo dirigenziale e politico col rilancio del torneo di Roma e delle Next Gen Finals (che passano al Palalido di Milano) e l’organizzazione delle Atp Finals a Torino dal 2021 al 2025, si tratta di un altro importante attestato mondiale.