L a piccolissima Croazia (4 milioni di abitanti e spiccioli) conquista nettamente, in Francia, la seconda coppa Davis, dopo quella, storica, del 2005, e la finale persa due anni fa. I
l piccolo Belgio (11 milioni di persone) disputa le finali 2015 e 2017, la piccola Svizzera (8 milioni) s’impone nel 2014, la piccola Repubblica Ceca detta legge nel 2011 e 2012 (10 milioni), la ancor più piccola Serbia (7 milioni) vince nel 2010 e va in finale nel 2013.
Aggiungiamoci l’epopea ottanta-novanta della poco popolata Svezia (10 milioni), campione ’84, ’85, ’87, e poi ancora ’94, ’97, ’98 e finalista ’83, ’86, ’88 e ’89. Enunciati così, questi dati fanno pensare che la gara a squadre più famosa del tennis, fosse ormai soltanto materia per le nazioni più piccole, e quindi particolarmente orgogliose e motivate dalla storicità dell’impresa. Senza rispecchiare in realtà le gerarchie.
Questi numeri darebbero ragione al nuovo presidente della federazione mondiale, David Haggerty, e alla ricca e potente Usta che ha svenduto la tradizione-Davis ai tre miliardi del calciatore-manager Gerard Piqué e disinteresse e disattenzione delle nazioni più grandi. Sempre più schiave delle loro stelle e bloccate dal calendario dei tornei Atp. Insomma, detta così, la rivoluzione dell’anno prossimo in sede unica a Madrid, con 18 squadre, tre soli match per confronto e tutte, le partite ridotte al meglio dei tre set, era proprio indispensabili. Dopo il lungo e colpevole letargo legislativo dei 16 anni dell’era Francesco Ricci Bitti.
Le piccole nazioni approfittano dei problemi delle grandi
Sicuramente le piccole nazioni hanno approfittato dei problemi delle grandi, hanno motivazioni superiori rispetto a chi ha già scritto la storia della Davis e non spingono le loro federazioni ad esborsi onerosi come quelli aio quali sono invece sottoposti altri paesi per assicurarsi i migliori rappresentanti. Ma è che vero che, a ben guardare i nomi dei protagonisti degli anni che abbiamo appena elencato, troviamo personaggi di qualità e con credenziali indiscutibili, in uno sport, peraltro, che ha superato da tempo le barriere nazionali. Con atleti anche di paesi poco popolosi che si allenano ormai abitualmente in quelli tecnicamente e storicamente più avanzati, con allenatori ed in accademie di primissima qualità.
Partiamo proprio da quest’ultima edizione tradizionale della Coppa, nella quale, i campioni della piccola Croazia schieravano due campioni sicuri, superiori, oggi come oggi, ai francesi Tsonga, Pouille e Chardy. Il risultato di Lille rispecchia i valori: gli ospiti sarebbero stati favoriti anche sul circuito Atp. Marin Cilic, bombardiere di quasi due metri, oggi numero 7 del mondo, già 3 a fine gennaio di quest’anno, campione di 18 titoli Atp, fra cui gli Us Open 2014, e finalista Slam a Wimbledon 2017 e Australian Open 2018 (stoppato sempre da Federer), è infatti nel pieno della sua maturità tecno-agonistica. Borna Coric, già numero 1 del mondo juniores, da pro 12 del mondo a soli 22 anni, è la punta della Piatti Academy di Bordighera, uno dei giovani più solidi in circolazione. E il doppio Dodig & Pavic è da top tre del mondo.
Lo schieramento del Belgio
Il Belgio, schierava due Pollicino terribili, tenaci, instancabili, intelligenti, come David Goffin (7 del mondo l’anno scorso) e Steve Darcis, due mine vaganti del circuito Atp. La Svizzera metteva in campo Roger Federer e Stan Wawrinka, che hanno scritto la storia dello sport rosso-crociato e mondiale. La Repubblica Ceca sfoderava la coppia di singolaristi Tomas Berdych (a lungo “top ten”, 4 nel 2015, vincitore di 13 titoli e finalista a Wimbledon 20190) e Radek Stepanek (n. 8 del mondo in singolare nel 2006, 4 in doppio e campione di due Slam). E la Serbia poteva sfruttare uno dei dominatori della scena degli ultimi anni, come Novak Djokovic, un picchiatore temibile come Viktor Troicki (n. 12 del mondo nel 2011), un ex talento bersagliato dagli infortuni come Janko Tipsarevic (già 8 del mondo nel 2012) e un doppista coi fiocchi come Nenad Zimonjic (1 del mondo di doppio 2008 e campione di tre Slam).
Il ritorno della Svezia sulla scena
Se poi rispolveriamo la Svezia, la scuola tennistica di quel paese, sulla scia di Bjorn Borg, ha messo in mostra campioni di primissima qualità che sono arrivati al numero 1 del mondo e hanno dettato legge negli Slam, come Mats Wilander e Stefan Edberg. I quali, a loro volta, si sono tirati dietro, in scia, altri giocatori più che discreti, come Jarryd, Nystrom, Svensson, Larsson, Bjorkman, Kulti e Magnus Norman. E così la Svezia era piccola sì, come popolazione, alla stregua di altre protagoniste che si sono successe negli anni in Davis, ma in realtà questi paesi non hanno fatto tanto scalpore coi loro risultati perché erano grandi come qualità dei giocatori. Chiamiamoli falsi piccoli, e quindi ancor più pericolosi, ma non sorprendenti. Colpevoli però di aver messo in crisi lo show business, la tv tiranna, i grandi interessi di chi pretende spettacoli sempre più brevi, con protagonisti noti, magari in rappresentanza delle nazioni più ricche.
Da simili calcoli finanziari le sorprese vanno bandite. Come i paesi, con pochi abitanti, e pochi, se non addirittura zero sponsor e mercato. A dispetto, ovviamente, dello spirito e della bellezza dello sport. Povero barone de Coubertin…
www.sportsenators.it