“Non chiamatela più Coppa Davis”, chiede l’erede di Henri Cochet, uno dei mitici “Moschettieri” di Francia che strapparono l’insalatiera dalle mani di Bill Tilden e degli Stati Uniti in quell’indimenticabile 11 settembre nel 1927 sull’erba di Philadelphia. La gara a squadre più famosa del tennis va in pensione a calci, dopo 118 anni di fulgore. Anche se tanti, troppi, praticamente tutti quelli che l’hanno vissuta, mormorano un sommesso: “Addio, mia amata addio”, da oggi a domenica a Lille, con la finale Francia-Croazia, va in scena l’ultimo atto con la formula tradizionale.
Tre miliardi di dollari in venticinque anni del calciatore del Barcellona Gerard Piqué hanno spinto i gruppi di potere della Federtennis mondiale a cambiar faccia dall’anno prossimo alla Coppa: non più quattro tappe spalmate durante la stagione ma tutto in una sola settimana e in uno stesso posto, con 18 nazioni divise in gruppi, e partite accorciate, nel confronto, da quatto singolari e un doppio a due singolari e un doppio, e come durata, da cinque a tre set. “È sul 4-4 al quinto set che si vedono gli uomini”, avrebbe ripetuto ancora una volta il povero Cochet.
Soprattutto, povero tennis. Perché, oltre tutto, al di là dei 20 milioni di dollari in palio, i giocatori più forti, con l’eccezione del re di Spagna Rafa Nadal, sono contrari. A partire dalla data, l’ultima settimana di novembre, quando hanno appena cominciato le uniche vere ferie della stagione. Data che proprio non si può spostare: l’Atp, gestore del circuito dei tornei, che da sempre si fa i dispetti con l’Itf, ha rilanciato la propria gara a squadre, la Coppa delle Nazioni, con 24 paesi in gara per dieci giorni, rimpolpandola di 750, preziosi, punti per la classifica e di 15 milioni di dollari di premi, riposizionandola, dalla tedesca Dusserdorf in tre città australiane, e ridatandola, da maggio al 3-12 gennaio 2020.
Meno di due mesi dopo la finale di Davis che per i prossimi due anni si terrà a Madrid. Nel 2019, dal 18 al 24 novembre, troppe a ridosso della nuova creatura Atp e quindi alla disperata - e vana - ricerca di un anticipo, in primavera o a settembre. Pena un ridimensionamento della gara più famosa a una super-esibizione, anche perché non distribuisce punti Atp, proprio come la Laver Cup, Europa-Resto del mondo, organizzata da Roger Federer sulla falsariga della Ryder Cup di golf, il 20-22 settembre 2019 a Ginevra.
Gli intrecci non finiscono qui: il popolo del tennis francese ha chiesto addirittura al presidente federale, Bernard Giudicelli, di tornare sulla decisione e di abiurare al patto scellerato a favore della nuova Coppa con gli Stati Uniti. Cui, ironia della sorte, è legato il nome della manifestazione, da uno dei quattro giocatori di Harvard, Dwight F. Davis, che progettò la formula del torneo e pagò di tasca il trofeo d’argento per la prima edizione del 1900 a Brookline, Massachusetts, contro il Regno Unito. In testa alla protesta c’era il condottiero della Francia di Davis, Yannick Noah, l’ultimo campione Slam dei blues, al Roland Garros 1983, il capitano non giocatore che riportò dopo 59 anni la Davis ai francesi, nel 1991 a Lione. Ed è stato poi l’artefice di altri due successi, nel 1996 e nel 2017.
Fino ad identificarsi con la gara che lo rappresenta anche come filosofia, come creatività, come fantasia. Nel 1991, il moro di Francia, personaggio cardine da quarant’anni in qua del tennis transalpino, beffò gli americani, favoriti con Sampras ed Agassi, tirando fuori dal letto d’ospedale Henri Leconte dopo un’operazione d’ernia del disco e rigenerandolo da numero 159 del mondo a protagonista di due punti d’oro. Stavolta ci riprova contro gli ospiti di Croazia, favoriti dal bombardiere Cilic e dal solido Coric, rilanciando il suo erede, Tsonga, al rientro dopo sette mesi per l’ennesima operazione alle ginocchia ed appena 259 del mondo, e preferendo a sorpresa il più estroso Chardy all’ultimo allievo, Pouille.
L’ultimo sogno di Davis va vissuto fino in fondo.