C ome i tuffatori, quelli temerari che si buttano giù dalle scogliere e vedono e non vedono quello che c’è veramente sotto. Peggio. Quelli che saltano nel vuoto sugli sci, prendendo la spinta da un trampolino, fanno una vita ancora più difficile.
Perché partono da fermi, seduti sulla barra trasversale sopra la rampa di lancio, con gli occhi fissi sui binari paralleli in cui scorrono gli sci, che vanno sempre più veloci, incontrollabili, giù giù. Intanto protendono il busto in avanti, in posizione a uovo, con le braccia ben dritte sui fianchi.
E, come la rampa del trampolino risale vertiginosamente, si raggomitolano ancor di più su se stessi, per caricare al massimo la spinta, come su tirassero una molla di cui sono il proiettile. Infatti, all’improvviso, dopo quello corsa folle di 90 metri, il contatto finisce, gli scompare proprio da sotto ai piedi, catapultandoli violentemente verso l’alto. Non c’è un segno preciso dove staccare, devono sapere loro, esattamente, dove farlo, non troppo presto e non troppo tardi, così da garantirsi la forza giusta per il volo, come un uccello che si libra con le ali in cielo.
Anche questi acrobati si ritrovano in un attimo in aria, col corpo spinto in avanti, le braccia tese lungo il corpo, ma all’indietro, divaricando le punte degli sci e ravvicinando le code, mentre tutto gli passa velocissimo attorno, con la vita, là sotto, case, cose, persone. L’adrenalina gli schizza a mille, ma loro devono comunque compensare, gestire, agire, a sei metri dal suolo. Dopo cento-centotrenta metri di volo, anche a 90 all’ora, la forza di gravità li costringe a scendere. E’ il momento decisivo, devono controllare ogni centimetro del corpo: ogni imperfezione costa punti.
Devono arrivare al traguardo, magari proprio sulla riga colorata come i loro sogni di gloria, che vale 60 punti. Devono ritirare su il busto, devono ritrovare d’incanto l’equilibrio per l’impatto, durissimo, piantar subito bene gli sci sulla neve, scivolare e intanto frenare, frenare, frenare, su quel tappeto bianco velocissimo, dopo essere stati sparati a razzo come un tappo di champagne. Ecco, possono anche sorridere: finalmente sono tornati sulla terra ferma.
Il dio del salto sugli sci, dall’Olimpiade di quattro anni fa a Sochi, quando vinse la medaglia d’oro nel trampolino normale e nel trampolino lungo, ad oggi che domina la coppa del Mondo, si chiama Kamil Stoch. Sa che il segreto è anticipare la spinta, sa che l’odierna tecnica standard degli sci a “V” in volo aumenta la portanza del 28% e la lunghezza del balzo del 10% rispetto agli sci paralleli, sa che da quel momento in poi bisogna restare assolutamente sospesi. Anche se forse non conosce che a lanciare la moda fu un polacco come lui, Miroslav Graf, nel 1960, dando un nuovo impulso alla disciplina più spettacolare dello sci nordico. Non a caso, sport olimpico fin dai Giochi del 1924.
La storia che di sicuro l’angelo polacco ha appreso bene è quella dei “Quattro Trampolini”, la gara più ambita della disciplina, una specie di Grande Slam di golf e tennis. Che, dal 1952, si disputa tra fine dicembre e inizio gennaio, in Germania, sui trampolini di Oberstdorf e Garmisch-Partenkirchen, e quindi in Austria, a Innsbruck e Bischofshofen. Premiando il saltatore con il punteggio complessivo più alto fra le quattro prove. L’anno scorso, il 30enne di Zakopane si è aggiudicato la seconda edizione consecutiva, eguagliando anche l’impresa di Sven Hannawald che, 16 anni prima, aveva firmata almeno una volta tutte le tappe.
Un’altra cosa che Kamil sa benissimo è che il coraggio non basta, nel salto, e nemmeno lavoro, qualità, equilibrio, ci vuole anche tanta fortuna per evitare l’errore o anche solo il nemico numero uno di tutti gli acrobati del trampolino sulla neve, il vento. Che va calcolato in tutte le sue forme e direzioni perché diventi un alleato, o almeno un nemico neutrale.
Non è per questo che il ragazzo è ferventemente cattolico, ma sicuramente va spesso a messa e spesso prega. Come ha specificato a un giornalista che lo stuzzicava sull’argomento: “Avendo la gara domenica, a messa ci sono stato sabato sera”. E, come ha chiarito a un altro che gli domandava la natura del suo rapporto “speciale”: “Voglio continuamente ringraziare il Signore Dio per tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che accadrà in futuro”.
Sembra banale, ma quel volo d’angelo ha bisogno di un aiutino costante: “Sin da bambino, prima dei salti, faccio sempre il segno della croce. Non perché ho paura, è un simbolo di fiducia. Ogni salto lo dedico al Signore Dio. Non me ne vergogno”. E’ un modo anche per anestetizzare le mille botte e bottarelle di una pratica così dura e pericolosa, come il problema al gomito che, quattro anni fa, sembrava pregiudicare i Giochi di Sochi e che poi invece è miracolosamente scomparso. “I miei genitori e i miei nonni mi hanno avviato alla fede.
Quando qualcosa non va per il verso giusto, mi metto sotto la protezione delle ali del Signore Dio. Allora so che è accanto a me, lo sento. E prego, non solo per me, ma per tutti gli altri atleti, perché nessuno venga danneggiato in gara. Prego di saper essere gioioso nella vittoria e dignitoso nell'accettare la sconfitta. E ringrazio il Signore Dio prima, per tutto, perché devo tutto a Lui”.
A Sochi 2014, Stoch ha eguagliato il doppio oro olimpico del finlandese Matti Nykanen nella stessa Olimpiade del 1988, e dello svizzero Simon Ammann che, nel 2010, ha bissato quello del 2002. Ed è diventato un fenomeno anche nei social networks con 930,000 fan su Facebook. Poi le sue fortune al vertice si sono un po’ appannate, finché il co-allenatore della Germania, Stefan Horngacher, non ha preso le redini della nazionale di salto polacca ed è intervenuto anche su Kamil, rilanciandolo fino alla doppietta nei famosi Quattro Trampolini e nel primato in coppa del Mondo: “Mi ha cambiato qualcosa sulla posizione iniziale e sull’allenamento, ma soprattutto ha agito in modo molto diverso sull’approccio psicologico”. Dandogli quel quid in più, oltre l’esperienza, alle qualità naturali e alla fiducia. “Io so come vincere. Quando mi sveglio la mattina ho la forza e la salute per fare quello che faccio, ho dentro di me gioia e soddisfazione. So che posso superare i momenti brutti, mi sento forte perché sono convinto che se una persona lavora duro, crede in quel che fa e ha uno sguardo positivo sul mondo non esistono cose impossibili. E finché lotti, puoi vincere”.
Sembra un predicatore, è tuffatore numero 1 del salto con gli sci. Vive per volare, oggi come domani, quando diventerà pilota d’aerei.
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