“Chi l’avrebbe mai detto che quella bambina che, a 6 anni, sulle nevi di Foppolo, sognava, un giorno, di vincere le Olimpiadi avrebbe vinto davvero, a 25… Ho sciato come un samurai. Io che di solito invece sono una pasticciona. Sono molto contenta di quello che ho assemblato, di come ho costruito questa vittoria anche nella terza prova di martedì, quando ero annoiata e sono scesa tanto per scendere: è stata la discesa della maturità, la solidità che ho espresso con anche l’intelligenza agonistica da usare in qualche punto dove non bisogna tirare ma scalare una marcia per attaccare dopo. Non mi sono presa alcun rischio, ho usato il cervello perché qualche volta ce l’ho e lo utilizzo”.
Ci sono tanta passaggi, di vita e di sport, fra il maschiaccio Sofia Goggia, le “goggiate” (gli errori, le intemperanze, le follie) e il primo oro olimpico in discesa libera di sempre di una azzurra ai Giochi Invernali, il primo di un italiano 66 anni dopo Zeno Colò. C’è tanto lavoro sull’atleta, sulla donna e sul carattere bergamasco, spigoloso, anche “cattivo”. Perché è facile chiuderla lì: «E’ anche alla mia sciata che, tecnicamente, certo non si può dire eccelsa. Meglio: è sporca, storta, imperfetta».
E’ facile fare spallucce: “Non facciamo uno sport per signorine”. Molto più difficile è smussare quegli angoli duri e imparare dalle sconfitte. Ma, soprattutto, rialzarsi dagli infortuni. “Quando mi si è presentata, le ho detto: “Ehi, datti una calmata”. Poi ho capito che è una entusiasta, e l’ho apprezzata sempre più come atleta e come donna. Mi ha rivelato: “Anch’io ho avuto tanti infortuni come te, sai? E se sono qui è anche grazie al tuo esempio”. Questa è la soddisfazione maggiore che posso prendermi, al di là di qualsiasi medaglia”, l’applaude Lindsey Vonn, la “cannibale” di coppa del Mondo che, all’Olimpiade di PyeongChang, deve accontentarsi del bronzo.
Sofia, che a 3 anni già metteva gli sci ai piedi seguendo papà Ezio e mamma Giuliana a Foppolo, si è fatta due volte male alle ginocchia nei primi anni di attività, nell’estate del 2009, quando faceva le gare Fis, e già nella prima gara di coppa Europa 2010-2011, a Kvitfjell, saltando tutta la stagione. In quella successiva, si aggiudicava i due giganti Fis di Zinal, all’alba del 2012 centrava il primo podio di Coppa Europa, argento nel superG di Jasnà, conquistava la supercombinata di Sella Nevea;, ma il 24 febbraio già doveva schiudere ancora anticipatamente la stagione per lo stiramento dei legamenti collaterali di entrambe le ginocchia e la frattura del piatto tibiale.
Esplodeva ai Mondiali 2013 a Schladming, quando lasciava il bronzo in superG per appena quattro centesimi a Julia Mancuso e, 21enne, entrava in nazionale A, esordendo in coppa del Mondo. Ma, dopo i primi punti in superG di Beaver Creek (7a), il 7 dicembre, nella discesa di Lake Louise (Canada), si rompeva i legamenti crociati del ginocchio sinistro e quindi saltava l’Olimpiade di Sochi 2014. Doveva rinunciare anche alle prime gare della stagione successiva, e, ahilei, il 7 gennaio 2015, durante un allenamento a Santa Caterina Valfurva, avvertiva un forte dolore al solito ginocchio, ed era costretta ad operarsi ancora per rimuovere una cisti.
Così, nella stagione 2016-2017, Sofia Goggia è ripartita nuovamente da zero, con il quinto posto nel gigante di apertura a Soelden. E, da Killington, robusta e potente com’è (alta 1.69 per 67 chili), ha infilato il podio in quattro specialità differenti, centrando 5 secondi posti e 4 terzi. Confermando, così, le qualità di atleta polivalente, insieme a qualche decisiva sbavatura.
Che l’ha privata fino a PyeongChang di soddisfazioni maggiori e più continue costringendola su una strada lunga e tortuosa fino all’oro olimpico che la innalza ora ai livelli di Deborah Compagnoni, e la candida a più grande sciatrice italiana di sempre. Paragone che lei, fino all’altro ieri, dribblava: «Con Deborah, che ha vinto qualcosa come 19 gare di coppa del Mondo, più le medaglie ai Giochi e ai Mondiali, per ora ho in comune... le operazioni e i guai fisici».
Curioso, il 4 marzo dell’anno scorso, Sofia ha conquistato la prima vittoria in carriera in coppa del Mondo proprio sulla pista sudcoreana di Jeongseon, quella del trionfo ai Giochi, mettendosi alle spalle Vonn e Štuhec, dopo ben nove podi in Coppa. E questo, in questo indimenticabile mercoledì 21 febbraio 2018, dev’essere stato un pensiero doppiamente positivo. “Ho sempre inseguito il limite per batterlo. Adesso però ho imparato a fermarmi un passo prima, “accarezzandolo”…”. Così come sono state importanti tutte le altre esperienze. Dal bis in superG sulla pista coreana, al terzo posto della classifica generale di Coppa, con 1197 punti (record assoluto per un'atleta italiana), con un totale di 13 podi (altro primato nazionale, migliorando quello della Compagnoni), seconda nella classifica di specialità di libera, terza in gigante, sesta in superG e ottava in combinata, con almeno un podio in ciascuna di queste tappe (ulteriore record italiano).
Tutto questo, insieme alla delusione nella libera dei Mondiali di Saint Moritz quando ha commesso un gravissimo errore sulla parabolica finale che le è probabilmente costato la medaglia d’oro, con Lindsey Vonn bronzo ad appena 7 centesimi. Un passaggio obbligato prima di ripartire ancora e di arrivare al gradino più alto del podio di libera a coronamento di due stagioni eccezionali. Con venti podi in Coppa e quattro vittorie, e il primato di specialità in discesa. Pur transitando, ancora per un errore, nella parte centrale del superG di PyeongChang, che le è costato una medaglia sicura.
Anche se oggi Sofia può affermare: “Superata la sorpresa per la continuità che ho trovato, ho capito che è il risultato va sempre seminato. E tutt’a un tratto ho raccolto tanto, sono esplosa in senso buono, perché prima finivo spesso nelle reti”. Dev’essere stata dura per il maschiaccio che una volta scivolò giù dalla seggiovia, ma non mollò la presa e rimase appesa finché non la salvarono con una scala, davanti gli altri bambini preoccupatissimi. Il fratello maggiore, sa bene di che cosa parliamo: appena lui ebbe la prima moto, la chiese ai genitori pure lei.
Nata per lo sport, innamorata della natura, amante dei cani, Belle, il pastore australiano che l’accompagna ovunque nella sua giornata d’allenamenti e ha voluto anche sul podio di Sestriere, Sofia anche l’hobby della fotografia e un difficile rapporto coi libri: s’è iscritta all’Università prima ad Economia, poi a Filosofia, adesso studia Scienze Politiche on line. Adora stare con gli amici, mentre ci ha messo un po’ a trovare il giusto equilibrio con le colleghe: “Mi sono affermata anche come donna. Ho una percezione di stabilità. Uso più diplomazia. Sto lavorando per ridurre al limite le goggiate. Non posso piacere a tutti: vado accettata».
Donna ed atleta matura, grazie ai successi, agli sponsor, alla notorietà, Sofia s’è trasferita non solo metaforicamente “da un monolocale in una mega villa” era pronta per l’oro olimpico. “Io sono un’egoista, tutto quello che mi succede attorno è relativo e legato alla mia persona. Compreso questo bel rapporto con la Vonn che mi interessa, mi piace, ne vado fiera, siamo anche amiche, è un bel giochino, per carità, ma io penso a me stessa…", diceva alla vigilia della gara indimenticabile. Aggiungendoci le ultime idee psico-tattiche: «Scenderò per dare il meglio di me. Se andrà male punterò a Pechino. Senza subire le pressioni perché, come dice Nadia Comaneci, “se sei concentrato sulle tue sensazioni non senti la pressione”». Chissà se ora è pronta per l’amore, con quella giornata-maratona che ha rivelato via video: sveglia 6.32, bagno, colazione alle 7, allenamento in pista, 13.15 pranzo con papà, 14.30 allenamento in palestra, 18 mezz’orata di passeggiata col cane, 18.30 un poo’ di lettura, cena e alle 21.30 a nanna: “Non m’importa di quelli che desiderano la Goggia, cerco quelli che vedono Sofia. I miei capisaldi ce li ho: famiglia, amici, lo sci. Sono in un momento in cui va tutto bene».
Figurarsi dopo questo trionfo, da esordiente ai Giochi, con l’1’39'22 con cui batte di 9 centesimi la norvegese Ragnhild Mowinckel e di 47 la Vonn: "Non ho ancora realizzato, ero così concentrata sulla gara che non trovo neanche le parole. Sono molto orgogliosa. La vittoria la dedico a me stessa, al mio bel paese e alle persone che vogliono bene a Sofia indipendentemente dal fatto che vinca alle Olimpiadi.
Qui non ho sentito pressione, ero molto concentrata sulle cose che dovevo fare, soprattutto oggi. Non sarò mai la sciatrice che scende con classe, quando passo io faccio rumore come se suonassero mille chitarre. Ma sono così, e questo oro non mi cambierà. Resto Sofia, con la gente che mi avrebbe continuato a voler bene, ad amarmi anche se non avessi vinto questa medaglia”.
Il successo di PyeongChang nasce anche dalla lunga, difficile, attesa, dai 2 centesimi di distacco e di rabbia dalla solita Vonna nella discesa di Garmich -, la penultima di coppa del mondo prima dei Giochi, dopo altre “goggiate” -, dopo aver creato il dream team delle bergamasche con Michela Moioli, anche lei oro olimpico, nello snowboard cross. Dopo aver trovato l’alchimia negli ultimi due anni con Matteo Artina, 33 anni, bergamasco anche lui, controllore di volo mancato, perito aeronautico, laureto in Scienze Motorie e Fisioterapia e anche osteopata, che collabora anche con le federazioni di rugby, pesi, ginnastica e una società di karatè.
E la chiama “Pachi”, proprio come pachiderma: “Mi ha dovuto sprezzare: ho fatto solo sci, con lui ho imparato a far pesi perdendo peso, ho migliorato elasticità, coordinamento, equilibrio. Allenamenti duri, ma diversi, vari, a ritmo di musica, da Fedez a Puccini. «La musica fa bene, c'è un fondamento scientifico, il cervello reagisce allo stimolo sonoro e si difende potenziando la capacità di concentrazione. Mentre lavorare nel silenzio è alienante». Musica celestiale, come l’Inno di Mameli.