L'ultima Olimpiade dell'angelo guerriero
Lindsey Vonn sfreccia da tanto tempo sulle nevi olimpiche. Ha cominciato a 17 anni, a Salt Lake City, e finirà a 33, a Pyeongchang. Con due grandi gioie, l’oro in discesa e il bronzo nel super-G, a Vancouver 2010.
Poche per la superbionda che va più veloce di tutte, la signora di coppa del Mondo, con quattro titoli generali (tre consecutivi), addirittura otto di discesa, cinque in superG e tre in combinata (consecutive). La ragazza di città che a due anni aveva già gli sci ai piedi è una delle magnifiche sei di sempre che s’è imposta in Coppa in tutte e cinque le gare dello sci alpino.
E’ la più vincente della storia a stelle a strisce. Ma è anche molto di più dei numeri e dei record. Intanto, è una bellissima donna col sorriso da attrice e le cicatrici del guerriero. Che, ostinato, dopo ogni sgambetto della fortuna, si rialza sempre e comunque, per abitudine, per orgoglio, per un sogno, e riparte, affamato di riscatto: “Il mio obiettivo non si chiama oro o Olimpiade, si chiama Stenmark, il suo record di 86 successi di Coppa, è quello il limite che ho in testa, la leggenda, il campione più forte di sempre, qualcosa di insuperabile e di indimenticabile”.
Sciando, sciando, ha messo 79 tacche, ha sorpassato da un pezzo la mitica Annemarie Moser-Proell a 62, così come ha superato mille problemi: alla schiena, al ginocchio destro, alle dita, ai legamenti, all’anca, al braccio destro. Una highlander che s’ispira a Roger Federer e considera l’età un numero, una consuetudine: “Quello che contano non sono le volte che mi sono fatta male, non sono i miei 33 anni o i 17 che gareggio. Vecchia? Io ci proverò anche in Corea, Roger ha dimostrato che nulla è impossibile”.
Soprattutto con una motivazione extra, gareggiare con gli uomini, un vecchio pallino femminista che la statunitense rilancia da anni. “Mi sono sempre allenata con gli uomini, mi diverto tantissimo, sono super stimolata e riesco a dare il cento per cento. Perché non posso anche gareggiare contro di loro?”. La biondona ruba ancora ai miti del tennis: “A parte la mia soddisfazione personale, se vediamo la questione da una prospettiva più ampia, quello che Billie Jean King ha fatto ha avuto un impatto enorme e duraturo. Dobbiamo continuare a spingere avanti le donne nello sport”.
Quindici mesi fa, la ragazza del Minnesota che a 10 anni rimase fulminata dall’incontro col suo idolo Picabo Street, rischiava di rinunciare anche a questa Olimpiade, come a quella di quattro fa a Sochi: dopo l’ennesima, rovinosa, caduta, in picchiata, in allenamento, i chirurghi le hanno inserito una placca e più di dodici viti nel braccio. Lindsey ha lavorato otto ore al giorno per recuperare al meglio e prima possibile il nervo, con una dedizione propria solo dei grandissimi e un pensiero fisso: “Puoi cercare di gestire i rischi quanto vuoi, ma alla fin fine resta uno sport pericoloso. Che ha il suo fascino anche in questo. Lo sai, ma non puoi togliere ugualmente il piede dall’acceleratore. Io amo andare veloce, è per questo che non ho smesso di sciare. Malgrado i tanti infortuni la mia passione per lo sport non è mai cambiata fin da quando ho otto anni. E continuo, finché mi diverto e non devo usare troppo “cerottoni” per tenere insieme il mio corpo“.
Così, stringendo i denti, imponendosi una impressionante “full immersion” quotidiana in palestra, Lindsey ci sarà. “Questa non è un’Olimpiade qualsiasi, l’ho aspettata per otto, lunghi, anni, ricordo quant’ero delusa e devastata e frustrata quando ho dovuto rinunciare a Sochi. Ho atteso troppo quest’altra occasione. Ora devo concentrarmi sono su come arrivarci in salute e in fiducia: basterà per giocarmi le mie chances”.
Vittoriosa o sconfitta, Lindsey la dura ha già dichiarato che non farà visita alla Casa Bianca: ”Voglio rappresentare al meglio il mio Paese, non credo che oggi nel nostro governo ci sia tanta gente che lo faccia”. Ed è sicuro che manterrà la promessa. Figurati, ha esorcizzato anche l’impressionante cicatrice al braccio: “L’ho accettata, ho ricominciato ad usare vestiti senza maniche e top perché quel segno fa parte di quello che sono. Mi ha fatto più forte e sono orgogliosa di metterlo in mostra”.
Ha superato i pettegolezzi, gli amori tormentati (dal primo marito che le ha regalato il cognome di battaglia, Vonn, a Tiger Woods), le pressioni più forti: “Essere la più forte non è un lavoro facile, ma l’importante è dare sempre il massimo. È una questione mentale".
Chissà quante e quali gare farà a Pyeongchang “Tre o quattro, dipende da come mi sento”. Chissà come finalizzerà al meglio la preparazione per puntare all’oro olimpico nella discesa del 21 febbraio. Intanto, tanto per dimostrare che è ancora capace di dare la zampata decisiva, la vecchia leonessa ne ha vinte due di coppa del Mondo, a Cortina, più due superG. “In tutta la carriera non ho mai avuto problemi a dare il cento per cento, il problema è stato essere furba e controllare me stessa. Ma ora sento che finalmente ho imparato la lezione. Devo solo girare l’interruttore, che a me è sempre venuto naturale”.