“È il miglior sciatore che ho mai visto, uomini compresi”. La presentazione del mitico Bode Miller riassume il pensiero dei più: a Pyeongchang, ai XXII Giochi Olimpici Invernali, Mikaela Shiffrin non è solo la favorita per il bis di quattro anni fa a Sochi nello speciale, ma punta molto molto più in alto. Vuole l’oro anche in slalom gigante, e sogna di arrivare addirittura a cinque medaglie complessive, allargando le sue mire anche alla velocità. Anzi, vuole anche di più: la statunitense che sta dominando la scena in coppa del Mondo di slalom - con oltre il doppio di punti rispetto alla seconda, la tedesca Rebensburg, che incalza nella classifica di gigante -, vuole essere anche il personaggio dei Giochi, bella, sorridente e solare sempre. “Costantemente in equilibrio, dinamica, intensa e concentrata in pista”, per citare ancora il famoso e pluridecorato connazionale. Anche se lei, fuori dalla pista, è particolarmente schiva e riservata.
Ma sulla neve, su qualsiasi neve, ghiacciata, molle o soffice, Mikaela il fenomeno vola. «Se mi facessi condizionare dalle condizioni della neve sarebbe grave», dice la ventiduenne bionda di Vail, la perla delle montagne del Colorado. Bambina prodigio, a 10 anni vinceva l’italianissimo Trofeo Topolino, la vetrina mondiale giovanile, e ci riuscì alla grande; a 16, già esordiva in coppa del Mondo, a 17, si aggiudicava la prima tappa di Coppa, e poi s’è fermata solo per infortunio, scolpendo nella storia record come l’oro olimpico ad appena 18 anni e 345, ed impressionando sempre, fra i suoi amati paletti. Come quando, ad Aspen, tre anni fa, ha stabilito il nuovo distacco record dalla seconda, 3.07 secondi.
Ma anche fuori dal suo feudo, il 2 dicembre dell’anno scorso, quando ha lasciato tutti ancora una volta a bocca aperta vincendo a Lake Louise la prima discesa di Coppa, sconfinando in una disciplina molto diversa dallo slalom e aprendo nuovi e ancor più splendenti scenari di cui vedremo probabilmente gli sviluppi proprio all’Olimpiade in Corea. E poi ancora il 27 dicembre, a Semmering, quando s’è aggiudicata il secondo gigante della carriera, che ha bissato il giorno dopo, conquistando anche lo slalom del 29, prima donna a conquistare tre vittorie in tre giorni consecutivi nelle discipline classiche, addirittura da Vreni Schneider nel 1989. E quindi, il 7 a Kranjska Gora, quand’ha agganciato a quota 40 i successi di Coppa di Ingemar Stenmark, che però c’era riuscito a 23 anni compiuti (portando poi il primato assoluto a 86). Per poi superarlo a quota 41 a Flachau, il 9 gennaio.
Così, Mikaela il fenomeno è uscita dalla corsia delle donne. Anche se la connazionale Lindsay Vonn è ancora la star dello sci mondiale. Anche se il suo idolo di slalom, l’austriaca Marlies Schield, è ancora lontana cinque vittorie in Coppa (35 a 30). Anche se il primato di precocità resta nelle mani dell’austriaca Annemarie Moser-Pröll, che conquistò 40 successi a 21 anni e 310 giorni, ma toccò quota 41 a 23 non ancora compiuti, solo perché s’era preso un anno sabatico. Ma com’ha fatto la Shiffrin a raggiungere livelli così alti, mantenendo una continuità così elevata? Madre natura è stata benevola, certo. Ma Mikaela è anche una che lavora tanto. Ha passato ore e ore a studiare Ted Ligety per rubargli i segreti delle sue magiche curve. Molte altre ore le trascorre tuttora in palestra.
“Sono convinta che il duro lavoro e la preparazione specifica possano farti salire qualche gradino e farti trovare la via più in fretta”. E poi c’è un altro allenamento, quello psicologico che non va necessariamente di pari passo con le vittorie, ma si accompagna a quello dei muscoli, dell’elasticità e della velocità. “Mi è successo anche di vacillare, mi è successo di essere quasi paralizzata dai nervi, ma poi quei nervi mi hanno finalmente alimentato. E ora non vomito più prima delle gare”, ha raccontato la Shiffrin confessando di essere più umana di quanto si potesse pensare, e di accusare quegli attacchi di ansia che colgono tutti noi.
“Mi capitava di svegliarmi e di ritrovarmi avvolta da una nuvola scura, sapevo che devo sciare, ma non riuscivo a respirare. Poi ho iniziato a trovare un modo per controllare quella brutta sensazione”. L’aiuto è arrivato da uno psicologo sportivo: “Ora immagino la nuvola e riesco a farla volar via”. L’aiuto è sempre di mamma Eileen, che insieme a papà Jeffe le ha insegnato a sciare, e ancor adesso la segue dappertutto e l’aiuta a “trovare un modo per credere in me anche quando non mi sento totalmente in fiducia”. Anche se, il primo sostegno deve venire da se stessa: “È chiaro, anche sciare molto bene aiuta”. Così come aiutano i principi, tipo: “La gara di sci è raggiungere il potenziale, non battere qualcuno”. E anche: “Io gareggio per vincere non penso ai record e agli altri”. E pure: “Quando gareggi non rappresenti solo te stessa, la famiglia e il tram, ma l’intero paese dal quale vieni”.
Più si avvicinano i Giochi, più monta la pressione. Come sono stati quelli del 2014 sulle montagne del Caucaso? Aveva 18 appena ed è diventata la più giovane campionessa olimpica di sempre, la prima a stelle e strisce in slalom dal 1972. “Non ho mai avuto davvero la possibilità di pensarci davvero. Vai diretta dai media, rispondi, ma non rifletti nel profondo a cosa significa per te. Poi il momento passa e vai avanti, la cosa migliore per capire davvero che era successo allora è andare in Corea e vincere di nuovo”. Se difenderà il titolo in slalom sarà appena la sesta di sempre a riuscirci, la prima statunitense.
Anche se è chiaro che le sue mire si estendono anche al gigante, per eguagliare i due ori di Andrea Mead Lawrence ai Giochi del 1952. E certamente non tralascerà la combinata, e un’altra gara, fra super-G e libera. “Se ci sono altre quattro che hanno migliori speranze di medaglia in super-G e in discesa è meglio che gareggino loro. Se faccio quattro gare è perché penso di avere chance in tutte e quattro le gare, quello è il mio obiettivo”. L’ennesimo di altissimo livello, per eguagliare l’unico sciatore che ci sia riuscito in un’Olimpiade sola, la croata Janica Kostelic, che si aggiudicò tre ori e un argento a Salt Lake City 2002. Mentre Bode Miller è l’unico statunitense che ne ha vinte tre in un’Olimpiade sola. Cinque prove invece anche Mikaela il fenomeno le esclude a priori: “Cinque potrebbero essere davvero troppo, anche se a Sochi avevo detto che all’Olimpiade dopo avrei voluto cinque medaglie d’oro”. Scherzava o no, quando aggiungeva: “Voglio il mondo e diventare il re dell’universo”?