Mikael Kingsbury ha la faccia da freestyle. C’è scritto: libertà, spensieratezza, leggerezza, sfrontatezza, gioventù, divertimento, felicità, colori, sorrisi, musica, casual sempre e comunque, dai modi ai vestiti agli scarponi agli sci (speciali). Dev’essere così, anticonformista, diversa, rivoluzionaria, perché l’evoluzione della specie sulla neve è figlia degli anni 60, è targata Usa, con l’etichetta “hot dog”, ed è una valanga di champagne con le bollicine, irrefrenabile, coinvolgente, allegra: da Albertville 1992, è entrata nel programma olimpico, dal 1994 a Lillehammer, ha abbracciato i salti e si presenta a Pyeongchang con sei specialità: gobbe, salti, ski cross, halfpipe, slopestyle e balletto. Pronta a conquistare i tifosi più giovani, ad accaparrarsi più foto e video di tutti gli altri sport più noti e paludati.
Mikael è il re delle gobbe. La discesa libera tutta cunette, saltellando senza sosta con gli sci uniti, come sulla groppa di un puledro imbizzarrito, e poi facendo due volte il salto mortale con contorcimenti vari in cielo, prima di arrivare stremati al traguardo. È un acrobata, è l’erede di Alexandre Bilodeau, il campione olimpico di Vancouver e Sochi, che gli ha soffiato l’oro quattro anni fa. Una beffa che gli ha trasmesso una grinta inesauribile, facendogli dominare la scena, fino al punto di vincere praticamente tutto, con distacchi anche abissali di rivali (l’anno scorso ha vinto la sesta coppa del Mondo generale col quasi il doppio di punti del secondo, il francese Benjamin Cavet), e quest’anno s’è presa la settima. Solo ai Mondiali 2017 in Sierra Nevada, il giapponese Ikuma Horishima gli ha tolto da sotto il naso il doppio oro nelle gobbe, lasciando il bronzo al canadese. Che rivela: “A Pyeongchang, sento di avere un bersaglio sulla schiena, tutti vogliono battermi.
L’anno scorso ho vinto 9 tappe di Coppa su 11, e così mi sono messo nella condizione di essere il favorito ai Giochi. Ma tutti hanno lavorato bene e vogliono gli stessi risultati che voglio io. La differenza è che io ho la fiducia di questi quattro anni da numero 1, ma anche la pressione e le aspettative di far bene, di confermarmi anche all’Olimpiade”.
I rivali, Kingsbury, ce li ha soprattutto in casa: fra i “top 10” di coppa del Mondo ci sono infatti ben quattro canadesi, e, curiosamente, sono tutti del Quebec. “Abbiamo piccole montagne e neve artificiale, è super ghiacciata, senza la distrazione della polvere e delle cime più alte, così lavoriamo solo sulle gobbe, coi grandi esempi di Jean-Luc Brassard ed Alex Bilodeau: siamo cresciuti guardando loro e abbiamo sempre avuto dei punti di riferimento”. Mikael, con quella faccia un po’ così, sull’espressione un po’ così, è il freestyle perché accanto al sorriso perenne, hai capelli per aria, allo sguardo sconvolto e al sorriso allegro, interpreta al meglio lo spirito di gruppo, coi ragazzi come lui, coi quali, quotidianamente, lavora, vive, soffre, respira, gioisce. “La cosa positiva della squadra è che dividiamo tantissimo ogni informazione e cerchiamo davvero di aiutarci l’un l’altro”. Anche se, chi vince poi è sempre solo e soltanto uno: “Quando siamo al cancelletto di partenza non contano più certi sentimenti. Devi dimenticare che è il tuo amico e devi fare le tue cose. Speri che faccia bene, certo, ma non quanto te, e tifi perché arrivi secondo o terzo. Perché è ancor più bello se sul podio ci arrivi insieme ai compagni”.
Kingsbury ha trascorso gli ultimi quattro anni a pensare all’errore nella seconda manche di Sochi. Anche quell’oro sembrava già scritto, dopo la marcia trionfale e inarrestabile che, dall’esordio sulla scena a 16 anni, l’aveva portato ai vertici. “Ricordo che avevo tantissima pressione addosso, ero l’ultimo a partite, vidi la gara di Alex e, sì, ero troppo nervoso, e pagai la tensione. Ma ho anche imparato tanto da quell’esperienza”. Oggi, nel soppesare tutti i successi, il campione canadese si sente ancora in credito con la fortuna. “Mi sento uno sciatore più forte e maturo, odio perdere, sono sempre stato così, ho imparato a perdere perché gareggiavo sostanzialmente tutti i giorni con mio fratello più grande Maxime. Ma sento che mi manca ancora qualcosa di molto importante, mi manca l’ultimo obiettivo della carriera”.
Malgrado abbia vinto più titoli di Coppa di gobbe e generali, malgrado vanti il record di 48 tappe nella gara preferita fra le dune (addirittura 48), col primato di 13 tappe vinte di fila, malgrado sia l’unico che si è aggiudicato i Mondiali sia di gobbe che di doppie gobbe, malgrado sia quello che ha conquistato più medaglie mondiali di tutti, 7 volte su 8 che ha partecipato. Per mettersi finalmente al collo anche l’oro olimpico, a novembre 2016, Migale ha varato un esercizio tutto suo, una rotazione fuori asse con quattro giri completi. ”E’ piacevole avere in tasca una cosa così, so che se lo faccio sarò l’unico. Vedremo. Dipenderà dalle circostanze. Se avrò bisogno di quel qualcosina in più per superare un avversario, so che ce l’ho pronto. Ancora non fa parte del mio piano “A”, ho sempre come prima scelta il mio programma, ma psicologicamente è utile avere una soluzione di emergenza da poter mettere sul piatto. Io so che ho il mio Cork 1440”.
Il suo asso nella manica, però, è un altro. Ora Mikael sa qualcosa che quattro anni fa non sapeva: “Se sarò ancora in testa nella finale per l’oro, so esattamente come comportarmi: devo star calmo e fare il lavoro che conosco già”. Ma il freestyle non era libertà, spensieratezza, leggerezza, sfrontatezza, gioventù, divertimento, felicità, colori, sorrisi, musica, casual sempre e comunque?