AGI - In Gran Bretagna un'espulsione contestata nel match tra Manchester United e Tottenham, finito 3-0 per i londinesi, ha rimesso sul banco degli imputati il Var (o la Var, scegliete pure), reo di non aver impedito all'arbitro di commettere un grossolano errore. La polemica è stata rilanciata dal The Athletic che, in maniera provocatoria, si chiede: "Di quanti livelli di arbitraggio ha bisogno il calcio inglese prima di poter prendere una decisione corretta?". Le immagini, del resto, non lasciano molti dubbi a riguardo. Il centrocampista offensivo dei 'red devils', Bruno Fernandes, si allunga, scivola, ed entra in maniera scomposta su Maddison, alzando leggermente la gamba e colpendo l'avversario. Un intervento maldestro, scoordinato ma certamente non cattivo. Gli effetti sul centrocampista del Tottenham? Praticamente nulli.
L'arbitro Chris Kavanagh non ha avuto dubbi, anche perché non è lontano dall'azione, pur parzialmente coperto da Ugarte e Romero. Gamba alta: cartellino rosso per grave fallo di gioco e, presumibilmente, per la pericolosità dell'azione di Fernandes. Al Var c'è Peter Banks che vede bene il filmato con l'entrata incriminata. Eppure non interviene. Il motivo? Non ci sarebbero le condizioni per ribaltare una decisione presa sul campo. Nessun controllo, nessuna verifica. Fernandes deve abbandonare il campo di gioco mentre i tifosi dell'Old Trafford fischiano.
A questo punto, entrano altri due elementi importanti per completare questo puzzle. La prima è la versione dei giocatori. È lo stesso giocatore portoghese a confermare come Maddison abbia fatto la sua medesima valutazione: è senza dubbio fallo, ma mai un fallo da espulsione. La seconda è il giudizio della commissione disciplinare della federazione inglese che dà ragione al ricorso del Manchester United e toglie la squalifica (e quindi il cartellino rosso) nei confronti di Bruno Fernandes. Insomma, pur non entrando nel merito di chi ha ragione o no, il quadro di ciò che è avvenuto è ormai chiaro a tutti, tifosi e addetti ai lavori. La domanda che si fa The Athletic è: se il Var non interviene in questi casi, è giusto abolirlo?
Lo spazio grigio
Situazioni come quelle accadute all'Old Trafford mettono in risalto, una volta di più, quello spazio grigio in cui la tecnologia sembra inutile. O meglio, impotente. Ovvero, quelle decisioni che sembrano apparentemente giuste, soprattutto in prima analisi, da non essere ribaltate al Var ma che poi si dimostrano evidentemente scorrette da non sopravvivere al giudizio postumo di una commissione disciplinare. Il Var, dal momento della sua comparsa, ha senso di esistere solo con un obiettivo: far sì che la percentuale di errori commessi dalla terna arbitrale sia sempre minore, sempre più piccola. Eppure, se si osserva da vicino questa 'solida' logica, ci si accorge delle crepe che porta con sé. L'illusione di decisioni 'oggettivamente' corrette è un'utopia, e resta un'illusione. Il Var non è una panacea per gli arbitri e forse, in fondo, non rende nemmeno più facile il loro lavoro sul campo. Anche le segnalazioni di fuorigioco, apparentemente più nette da esaminare, lasciano spesso dubbi. Spalle avanti di mezzo centimetro, ginocchia deambulanti che superano le linee verticali imposte dalla tecnologia per un nonnulla, fianchi dove 'non c'è luce'.
E poi, è giusto dirlo: quanto è cambiata l'esperienza di tifo delle persone presenti allo stadio o sedute sul divano? Decisioni che arrivano dopo tanti minuti di paura, attesa spasmodica e urticante. Un limbo di sofferenze fisiche, senza sapere o avere idea di cosa sta succedendo, in attesa che l'arbitro alzi un braccio in alto o indichi il centro del campo. Una tortura che comporta recuperi oltre il 90esimo sempre più estenuanti.
The Athletic, alla fine del suo pezzo, ricorda come i club inglesi siano stati chiamati, lo scorso giugno, a esprimersi sul mantenere o abolire il Var. Solo il Wolverhampton ebbe il coraggio, molto romantico, di chiedersi: Proviamo a tornare a quel calcio imperfetto ma più autentico? E forse non aveva tutti i torti. Chissà come voterebbero, oggi, i club inglesi ,ma anche quelli italiani. La tecnologia è da sempre uno strumento fantastico a disposizione dell'essere umano ma forse, a volte, sarebbe giusto delegarle meno incombenze, soprattutto nello sport. Se errore dev'essere, in fondo, è sempre meglio che lo commetta un essere umano, simbolo di imperfezione e caducità che una macchina a cui affidiamo il compito di perseguire la perfezione.