AGI - Benjamin Sinclair Johnson. Sembra quasi il nome di un gentiluomo britannico, ma se lo si accorcia in Ben Johnson, l'effetto è molto diverso. Quello dello sprinter canadese fu il più grande scandalo di doping nella storia dello sport, quello che ha fatto entrare nelle nostre case la parola 'doping'; molto prima della scoperta delle pratiche dopanti nei Paesi dell'Est Europa, Ddr su tutti, che è avvenuta progressivamente tra confessioni e ritrovamenti dopo la caduta del muro di Berlino. Per 'Big Ben' oggi ricorrere il triste anniversario della squalifica a vita - 'life ban' in gergo tecnico - per recidiva alla violazione del Codice mondiale antidoping.
Johnson, oggi un signore di 61 anni che vive a Markham in Ontario e qualche anno fa protagonista di una campagna pubblicitario per il principale bookmaker mobile australiano, è stato privato di (quasi) tutto, medaglie e record. Il 5 marzo del 1993 l'allora Commissione antidoping della Iaaf (oggi World Athletics) decise di squalificare per sempre, di radiare, Ben Johnson. Tra le cinque persone che decisero la pesantissima squalifica c'era anche l'italiano Antonio Dal Monte e presidente era il dottor Gabriel Dollè (nel 2020 venne condannato e sospeso nell'affaire doping tra i vertici della federazione mondiale e la Russia).
Quel giorno venne ripercorsa tutta la carriera sportiva del velocista che era nato in Giamaica e poi emigrato in Canada. Già un pò chiacchierato dopo l'oro mondiale vinto nei 100 metri l'anno prima a Roma con 9"83, il 24 settembre del 1988 dominò la finale olimpica di Seul. Ben, una massa nera di muscoli incredibili, sguardo da diavolo, catenina d'oro, maglietta rossa del suo Canada, dall'uscita dei blocchi in corsia sei è sempre rimasto al comando trionfando, con tanto di mano destra alzata prima di tagliare il traguardo, in 9"79 lasciando di stucco campioni del calibro di Carl Lewis, Linford Christie e Calvin Smith, tutti sotto i 10 secondi.
Tre giorni dopo scoppiò il caso: Johnson positivo al doping, stanozololo. Quella finale venne descritta 'la più sporca di sempre perchè degli otto finalisti, sei nel corso della loro carriera vennero trovati positivi o al momento del ritiro ammisero l'uso di doping. Johnson in seguito cercò di riaprire il caso sostenendo di essere stato vittima di un complotto architettato dagli americani per far vincere Lewis, il 'Dio del vento. Successivamente Ben ammise anche di aver usato steroidi anche a Roma.
La federazione mondiale cancellò tutti i suoi risultati del biennio 1987-1988 e privato dell'oro iridato indoor dei 60 ad Indianapolis, di quello di Roma e di quello olimpico di Seul. Dopo una squalifica di due anni, Johnson ritornò in pista nel 1991 e l'anno successivo alle Olimpiadi di Barcellona non andò oltre la semifinale. Il 7 gennaio dell'anno successivo dopo una gara a Grenoble, Ben venne trovato positivo ad uno dei tre controlli antidoping ravvicinati effettuati in Canada: questa volta la positività era per steroidi anabolizzanti (testosterone).
Ad annunciare la squalifica a vita era stato l'allora segretario della Iaaf, Istvan Gyulai: "secondo le regole Iaaf, per un secondo reato di doping, l'atleta non sarà idoneo a vita". Il rivale Carl Lewis tuonò: "non sono particolarmente sorpreso dal fatto che Johnson sia stato trovato ancora positivo, dopo quanto successo a Seul aveva di fronte a sè due strade: cercare di ottenere grandi risultati in maniera pulita oppure trovarsi un altro lavoro. Ha voluto barare di nuovo e sono contento che sia stato scoperto: ora è giusto che paghi".
Nel corso degli anni Lewis rivelò che nel 1988 ai Trials di Indianapolis risultò positivo tre volte per efedrina, pseudoefedrina e fenilpropanolamina perchè contenuta in un integratore alle erbe.
"Facevano così con tutti, chiudevano un occhio, a quei tempi le cose andavano in quella maniera, centinaia di atleti sono stati coperti e perdonati. Non sono stato nè un favorito nè un privilegiato. Siamo stati trattati tutti nello stesso modo", disse vent'anni fa l'ex velocista statunitense.