AGI - "Ribadisco la mia disponibilità a discutere con tutte le parti interessate. Credo ci sia bisogno di un piano industriale, ecco perché dico a Casini, a Gravina, ai consiglieri di Lega e a quelli federali di sederci attorno a un tavolo. Da parte del governo non c'è pregiudizio, ma un doveroso giudizio nei confronti di certe azioni. Io sono pronto". In una intervista al 'Corriere della Sera' il ministro dello Sport Andrea Abodi parla del futuro prossimo del calcio e assicura di non aver "mai alzato un muro". Nemmeno con il rifiuto alla rateizzazione degli adempimenti fiscali senza sanzioni.
"Più che dire no - premette - ho suggerito un altro modo per risolvere il problema. Ho espresso parere negativo all'emendamento proposto perché ritengo che il mondo dello sport, con un prevalente interesse di alcuni club di A, non possa avere una forma di tutela esclusiva. Il calcio fa parte del sistema industriale del Paese e come tale va sostenuto. Non è quindi un mondo a parte. Discorso diverso è quello concernente le specificità di settore, mi riferisco alle scadenze, ma non solo. Colgo questa occasione per invitare a un tavolo di lavoro il presidente federale Gravina, il presidente Casini della serie A e i vertici di tutte le altre leghe per affrontare un percorso di riforme strutturali, sul presupposto che si affrontino i problemi".
"Contrariamente alle altre imprese - spiega il ministro - il calcio è sottoposto ai controlli Covisoc. Si sta valutando con il ministero dell'Economia di consentire ai club che chiederanno la dilazione di debiti fiscali accumulati negli anni di crisi (concessione che ritengo un errore) di pagare entro il 16 febbraio la prima quota del rateizzato oltre alla scadenza ordinaria. Basta una circolare interna. Questo potrebbe evitare di incorrere in sanzioni sportive".
A livello penale "è evidente che le aziende, tutte non solo quelle calcistiche, che avranno trovato un accordo con l'Agenzia delle Entrate non saranno perseguite e neanche segnalate. Sarà necessaria l'introduzione di una legge, sono al lavoro con i ministeri dell'Economia e della Giustizia".