AGI - "Una volta ho giocato contro tuo padre. Complimenti, hai onorato la sua memoria". Le parole che l’asso del Real Madrid, Ferenc Puskas, gli disse dopo la Coppa dei Campioni persa contro l’Inter a Vienna sono la sintesi più felice della carriera di Sandro Mazzola, la leggenda dell’Inter che oggi compie 80 anni: figlio di Valentino, capitano del Grande Torino, e capace di legare a sua volta il proprio nome a quello di una squadra unica e di una formazione da declinarsi come un mantra, tutto d’un fiato, “sartiburgnichfacchetti”.
Rimasto orfano dopo la tragedia di Superga, da ragazzo alterna il calcio alla pallacanestro ma i consigli di Benito Lorenzi, il famoso "Veleno", e la guida di Giuseppe Meazza lo convincono a ricalcare le orme del papà. L’esordio in serie A arriva prestissimo, a 18 anni, in una partita passata alla storia perché Angelo Moratti, in segno di protesta per la decisione di far ripetere una gara vinta, manda in campo contro la Juve i ragazzi e Sivori & C. maramaldeggiano vincendo 9 a 1. Solo che quell’”uno”, su calcio di rigore, lo firma proprio Mazzola. Quasi una premonizione.
Nato come centrocampista offensivo, il Mago lo plasma da punta (a fine carriera i gol saranno 162) e al terzo anno, dopo un avvio stentato che sembra preludere ad un esonero del tecnico, si ritrova al centro di un attacco con ai lati Jair e Di Giacomo. Recuperato terreno sui bianconeri, i nerazzurri li battono nella decisiva sfida del ritorno con un gol, ancora una volta, di Mazzola, e tornano campioni d’Italia dopo nove anni.
È solo la prima di una lunga serie di vittorie, in Italia e fuori. Comprese due Coppe dei Campioni: la prima, quella di Vienna, lo vede realizzare due dei tre gol del 3 a 1 alle Merengues.
Dopo altri due scudetti e due Coppe Intercontinentali, la Grande Inter esaurisce il suo ciclo nel ’67 con la finale di Coppa dei Campioni perduta in finale contro il Celtic Glasgow e lo scudetto sfumato all’ultima giornata a Mantova, ma Mazzola resta protagonista e nel ’70, tornato a vestire i panni del “10” alle spalle di Boninsegna, guida la squadra ad un altro tricolore, l’ultimo del suo palmares. Il ritiro arriva nel ’77, dopo anni ricchi di buone prestazioni personali ma senza acuti di squadra, e coincide con una sconfitta nel derby finale di Coppa Italia: Mazzola, uscendo dal campo, cita Dante: "Vuolsi così colà dove si puote...”.
Meno folgorante, ma comunque ricca di soddisfazioni, la carriera in nazionale: fa parte della rosa campione d’Europa nel ’68 e due anni più tardi è vicecampione iridato in Messico, in un Mondiale segnato indelebilmente dalla “staffetta” con il rivale di sempre, Gianni Rivera, voluta dal ct Valcareggi: di solito Mazzola parte titolare e Rivera gli subentra, ma nella finale persa con il Brasile al milanista vengono lasciati solo 6 minuti (al posto di Boninsegna) e le polemiche sono roventi.
“Giocavamo in due squadre rivali, ma c'era stima – dirà più volte Mazzola - Nel calcio di oggi avremmo giocato insieme, solo in Italia si creano questi dualismi”. L'ultima presenza in Nazionale è datata 23 giugno 1974, ed è un giorno amaro, quello della sconfitta contro la Polonia e dell’eliminazione al primo turno dai Mondiali di Germania.
Appesi gli scarpini al chiodo, ricopre diversi incarichi dirigenziali, prima all'Inter (1977-1984), poi al Genoa, più tardi ancora al Torino. Con l'arrivo di Massimo Moratti in nerazzurro torna anche a far parte dei quadri della società meneghina, lavorando come responsabile di mercato e portando in nerazzurro tra gli altri Ronaldo, “Il Fenomeno”. Strappato al Barcellona a suon di miliardi con un blitz passato alla storia.