AGI - “Chi mi conosce sa che sono pigro, sono l’uomo più lento del mondo. Le mie giornate sono scandite dalla clessidra, non dal cronometro. Mi piace osservare, ascoltare, non mi precipito mai e dire la mia… Preferisco tenere per me i miei pensieri, prendere il tempo che mi serve: non sono impaziente”.
Un pensiero come un altro, se non fosse che a pronunciare queste parole, riportate nel prologo del suo libro, ‘Flash - La mia storia’, è l’uomo più veloce del mondo, Marcell Jacobs, campione olimpico sui 100 m a Tokyo 2020 con l’incredibile tempo di 9.80.
Il velocista azzurro si racconta in un libro pubblicato da Piemme (pagg. 212, euro 17,50) in cui ripercorre la sua storia, parlando dell’infanzia a El Paso in Texas, dove è nato il 26 settembre 1994, figlio di un militare Usa, Lamont Marcell Jacobs e di un’italiana che lo aveva sposato e seguito in America. La donna, Viviana Masini, era poi tornata in Italia, a Castiglione, quando il figlio aveva un mese, perché il marito, sempre in missione, era partito con l’esercito Usa per un anno in Corea del Sud.
Anni dopo, quando Marcell Jr. aveva due anni, Viviana "ossessionata dalla paura che il marito americano le portasse via il bambino", ingaggiò un avvocato di diritto internazionale e divorziò. E così il piccolo Jacobs, di carnagione scura, con nome e cognome stranieri ma italianissimo, crebbe con la mamma e i nonni materni oltre a quatto zii e tredici cugini. Mentre la figura del padre rappresentò a lungo per lui un problema non risolto. Nel libro lo spiega bene: da come se lo immaginava da razzino (impegnato in missioni segrete) ai dubbi sulla sua esistenza, al punto che chiedeva spesso alla madre se era stato adottato.
"Non saprei dire se all'epoca provassi un senso di abbandono, certo sentivo una mancanza, che si acuiva vedendo a scuola gli altri bambini mano nella mano con i papà". Un'assenza che era diventata un'ossessione e che era controbilanciata da un'altra, "un amore, più che una fissazione - scrive - a cinque anni avevo sentito la corsa dentro di me".
L'incontro con la pista
Nel libro Jacobs ripercorre la sua avventura nel mondo dell'atletica, in cui ha fatto il suo debutto col soprannome datogli dall'adorato nonno Osvaldo (a cui ha dedicato l'oro di Tokyo): "la motoretta umana". Un soprannome, racconta, conseguenza della passione della famiglia della mamma per i motori, in particolare per il motocross, di cui uno degli zii era un campione. A sette anni Marcell si divertiva a correre facendo con la bocca il rumore della motocicletta ed era già velocissimo. Da qui il soprannome.
Dal trasferimento da Castiglione a Desenzano nel 2008 con mamma e fratelli nati dalla relazione della donna con un avvocato (di cui ha tatuate le date di nascita 16.5.2002 e 29.9.2003) dove allo Stadio Tre Stelle/Francesco Ghizzi arrivò sesto nel suo primo campionato di salto in lungo e dove iniziò a giocare a calcio con risultati modesti per via dei "piedi infelici" e per la tendenza a correre più che a controllare la palla (il suo allenatore Adriano Bertazzi gli diceva: "se corri più veloce della palla come fai a portarla?", racconta), alle prime gare di atletica nei 50 metri dove arrivava sempre primo all'inevitabile confronto continuo col suo mito, Usain Bolt.
Compare spesso il più grande velocista di sempre nel libro di Jacobs, perché è in lui che si specchia, soprattutto quando parla dei velocisti ("Dicono che sono tutti uguali, che ci interessano solo le ragazze, le macchine veloci e i videogame, e che ci piace dormire fino a tardi. E' uno stereotipo che è abbastanza vicino alla realtà soprattutto per quanto riguarda la pigrizia", scrive Jacobs citando l'autobiografia del campione giamaicano).
Gli aneddoti
Poi il racconto prosegue con particolari d'infanzia, il primo incontro col padre nel 2008, le scarpette chiodate, i risultati ottenuti con il suo primo allenatore, Gianni Lombardi, che attirano l'attenzione della Federazione di atletica fino alla svolta della carriera (e nella vita) con la decisione della Fidal di affidare il piccolo promettente Marcell alle cure dell'ex campione mondiale indoor di salto triplo Paolo Camossi. Un incontro a cui ha fatto seguito un'altra decisione fondamentale, l'entrata nelle Fiamme Oro, la squadra di atletica della Polizia di Stato.
Per gli appassionati di sport, 'Flash' è l'occasione per conoscere meglio l'italiano più veloce di sempre e per capire un po' meglio come funziona il mondo (e il corpo) degli atleti. Nel capitolo intitolato 'Muscoli di burro', Jacobs scrive che "le gambe di un velocista, come quelle di un calciatore, non devono essere grosse come si credeva una volta, semmai il contrario".
E aggiunge: "Ancora oggi nel mio staff ci si riferisce ai miei muscoli come incredibilmente contrattili. Sarebbe qui il segreto delle mie vittore, anche il fatto che correndo sono velocissimo ma sembra che vada piano, per questa fluidità del movimento dovuta all'elasticità delle catene muscolari ereditate da mimo padre". Inoltre scrive ancora che, come sostiene Paolo Camossi, "i muscoli di un grande atleta sono di burro" per cui, spiega, "fluidità significa contrarre e decontrarre in armonia agonisti e antagonisti, come i quadricipiti e i bicipiti femorali".
La rivalità con Tortu
La vita di Jacobs, dell'atleta e dell'uomo viene raccontata nel libro mischiando momenti personali, come la nascita del primogenito Jeremy ai diversi infortuni che hanno costellato la sua carriera, ai risultati sempre migliori ma sempre molto al di sotto delle sue potenzialità. Non manca poi, nel libro, l'aspetto pià agonistico e la sfida che a lungo ha diviso l'Italia dell'atletica tra chi fosse il più forte centometrista azzurro di sempre: Filippo Tortu, il primo italiano a correre sotto i 10" (9.99) o Marcell Jacobs, il 'texano d'Italia'.
Della rivalita' Jacobs scrive: "Tortu era il mio tallone d'Achille. 'Era perché fortunatamente adesso la questione è superata. La rivalità resta, ovviamente. Dico di più: i tempi e i rapporti di forza possono cambiare, ma la questione è risolta perché l'ho risolta nella mia mente". La parola fine al dualismo - per tanto tempo i due hanno evitato spesso con malattie 'diplomatiche' di sfidarsi - è stata messa in maniera clamorosa a Tokyo 2020 quando Jacobs ha vinto l'oro con un tempo mia visto in Italia, 9.80, mentre Tortu è stato assoluto protagonista dell'altro oro, quello nella 4x100, conquistata in staffetta insieme proprio a Jacobs, Fausto Desalu e Lorenzo Patta in 37.50, quinto miglior tempo di sempre.
Un campione a nudo
'Flash - La mia storia' è un libro in cui Jacobs racconta se stesso e si mette a nudo. E rivela anche quello che a suo giudizio è il famoso 'clic' scattato nella sua mente che l'ha fatto passare dal rango di campione italiano a quello di mito mondiale dell'atletica. Una scossa che ha permesso - utilizzando un'espressione del libro - all'elastico di diventare fionda, è arrivata quando adulto, con una compagna e due figli, ha risolto il suo problema col padre, così presente nella sua assenza e così desiderato.
Un riavvicinamento, unito alla consapevolezza dell'importanza della famiglia (la relazione solida con l'attuale compagna Nicole Daza da cui ha avuto due figli oltre al primogenito nato dal rapporto con Renata Erika), che ha permesso di ricomporsi al "puzzle della sua vita". E cosi ha superato i blocchi psicologici, rimuovendo "quell'asterisco vicino al nome" con cui correva per cui, scrive, "trovare qualcosa che mi impedisse di fare il tempo-che-avrei-potuto-fare, rendeva la delusione meno amara, perché in fondo - si diceva - non è mai del tutto colpa mia".
"Almeno fino al 2020 mi dicevo: questo sono io, prendere o lasciare". Poi tutto è cambiato, rivela nel libro, "quando ho smesso di avere paura di prendermi sul serio in pista" e "ho iniziato a sentirmi leggero come non mi ero mai sentito prima. Ho distrutto muri, riallacciato rapporti, compreso che gli spigoli della vita a volte possono ferire, e che quando un animale è ferito non c'è vergogna nel nascondersi. Oggi sono una persona diversa". E anche un atleta. Un uomo migliore e un campione diventato leggenda.