AGI - Per parecchie fasi del match contro Davidovich Fokina, se Novak Djokovic avesse giocato con una racchetta di legno lo si sarebbe potuto scambiare per Bjorn Borg. Ma non lo svedese capace di vincere a Monte-Carlo tre volte bensì quello che nel Principato si ripresentò sette anni dopo il ritiro (era il 1991) con un set di racchette di legno e un guru inquietante seduto sugli spalti.
Alla terza partita ufficiale dal dicembre scorso dopo le polemiche No vax e la relativa odissea dell'estromissione dagli Open d'Australia, il numero 1 del mondo quasi a sua insaputa, dopo la fugace apparizione di Dubai, a Monte-Carlo è parso tornare dopo un viaggio ai confini della galassia: lontano nel tempo e nello spazio almeno quanto lui è stato lontano dagli standard che gli appartengono.
A 35 anni se non si hanno partite nelle gambe e furia agonistica nel cervello si può perdere con chiunque: Nole, che peraltro ne era perfettamente conscio, se ne è accorto sulla sua pelle. Costantemente in ritardo, impreciso, falloso soprattutto nelle condizioni di battaglia prolungata, quelle in cui ha costruito le sue fortune. Scarico, in una parola.
Ci è voluto uno scambio da gloriosi vecchi tempi, quello che gli ha permesso di conquistare il secondo set, per riportare agli occhi degli spettatori il Djokovic padrone del mondo che un anno fa era indicato come il più che probabile conquistatore del Golden Slam (quattro titoli major più l'oro olimpico). E che invece vide sfumare il suo sogno prima sul cemento giapponese e poi su quello newyorchese.
Nel Principato invece i sogni muoiono al tramonto: e quando tutti aspettavano, vinto il secondo set, che Nole tornasse definitivamente se stesso, si è invece via via dissolto. Stavolta nemmeno qualche urlo liberatorio e una racchettata a una bottiglietta d'acqua hanno risvegliato in lui la proverbiale grinta.
La desuetudine, anche mentale, ai match, a 35 anni, può essere letale. Non che una sconfitta contro Davidovich Fokina possa far pensare che il regno di Nole sia al capolinea: ma certo ci dice che anche per una macchina da punti come lui, astenersi dal combattere per quei punti può intaccare quell'efficacia che di Djokovic è sempre stata la griffe.