AGI - Gli oltre quattromila atleti entrano dai quattro angoli dello stadio Olimpico di Tokyo per celebrare la chiusura di un evento che non doveva esserci, e lo fanno nel giorno in cui gli Stati Uniti superano la Cina per numero di ori vinti, 39 a 38, dopo aver dominato la classifica delle medaglie totali, 113, contro gli 88 dei cinesi, i 71 russi, 65 dei britannici.
L’Italia chiude settima con 40 medaglie, di cui 10 d’oro, record dai tempi di Roma ’60. C’erano più discipline rispetto a quella storica edizione, ma gli azzurri hanno vinto nelle gare tradizionali, non sullo skate o l’arrampicata. E nell’atletica hanno conquistato cinque ori, trionfando nella gara regina, i 100, e nella 4X100.
È la notte in cui Tokyo celebra se stessa e alla fine lancia da maxischermo un grazie in giapponese, “arigato”, urlato in segno di liberazione, perché nessuno ci avrebbe puntato uno yen. A Rio era finita con un dance party degli atleti, a telecamere spente, mentre qui con una musica soft come nei titoli di coda dei film, mentre gli atleti si avviano all'uscita.
Senso di vuoto perenne, dimensione surreale, ma l’Olimpiade che finisce è già un risultato straordinario. Tokyo era una città prigioniera della pandemia. Appena a maggio da un sondaggio era emerso come per l’83 per cento dei giapponesi i Giochi non si sarebbero dovuti tenere.
Nel mondo l’entusiasmo era pari al peso di una piuma. I primi contagi al villaggio olimpico avevano fatto crescere la paura. Invece, tutto è andato avanti, si è gareggiato, sognato, esultato. L’unica atleta che aveva dovuto lasciare a forza il villaggio è stata la bielorussa Kristina Timanovskaya, ma solo perché i dirigenti volevano farla rimpatriare dopo le accuse al regime di Lukashenko e alla gestione della squadra di velocità.
Un'edizione immortale
Così questi Giochi, disputati in un anno dispari, resteranno nel cuore di tutti per molti motivi. Resteranno per i record. Quello della più giovane vincitrice di una medaglia, la giapponese Kokona Hiraki, argento nello skateboard a 12 anni, e del più anziano, il cavaliere australiano Andrew James Hoy, argento e bronzo a 62 anni.
Quello nei 400 ostacoli corsi dal norvegese Karsten Warholm in 45”94. E dell’americana Sydney McLaughlin, stessa specialità, in 51”46. Il salto triplo della venezuelana Yulimar Rojas, volata a 15 metri e 67, infrangendo un record che durava da 26 anni. Il record del nuotatore americano Caeleb Dressel nei cento farfalla; quello della sudafricana Tatjana Schoenmaker nei 200 rana, mentre il sollevatore di pesi georgiano Lasha Talakhadze ha finito per segnare 265 chili nello strappo.
Anche due record italiani: quello di Federica Cesarini e Valentina Rodini, nel doppio pesi leggeri femminile di canottaggio, e nel ciclismo su pista del quartetto Simone Consonni, Filippo Ganna, Francesco Lamon e Jonathan Milan, trionfatori nell’inseguimento a squadre.
Resteranno i Giochi dell’umana incertezza. L’epica sportiva ha sempre trasmesso il messaggio che il vero atleta era colui che andava avanti a ogni costo, oltre la propria sofferenza. Tokyo ci ha regalato una versione più umana della storia.
Le olimpiadi dei "twisties"
La connessione tra corpo e mente può essere misteriosa. La ginnasta americana Simone Biles, una delle più attese, ha rinunciato a una gara a squadre perché l’angoscia l’aveva fatta cadere come corpo morto sulla pedana. Poi è tornata e ha preso un bronzo nell'individuale.
Anche gli atleti sono sottoposti a stress, angosce, sprofondano nel baratro dell’anoressia, dell’alcolismo, della depressione, solo che fino a quando Biles non ha denunciato pubblicamente la sua angoscia sembrava che questa dimensione non appartenesse agli atleti. “Non ho lasciato - aveva scritto su Instagram - il fatto è che mente e corpo non sono in sincrono”.
E’ difficile dire cosa abbia influito: forse l’arrivare ai Giochi con un anno di ritardo, esibirsi davanti a tribune vuote, vivere in una città prigioniera della pandemia nel suo momento più cupo ma, come ha detto la ginnasta nel collegamento virtuale con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, prendersi cura del suo corpo è stato il “più grande risultato” della sua carriera, più dei quattro ori olimpici e i diciannove titoli mondiali.
Dopo lei, altri atleti hanno rivelato le loro angosce. Alcuni troveranno conforto, altri no, ma lo sport ha fatto cadere per la prima volta il velo sulle malattie mentali delle star. Il fuoco olimpico che si spegne, stavolta, genera emozioni più forti, pensando a chi è stato portato via dal virus.
L’inno francese eseguito al sassofono dall’astronauta Thomas Pesquet ci ricorda che l’obiettivo più ambizioso sarà andare avanti e volare alti, e che il prossimo appuntamento sarà a Parigi, nel 2024, per quelli che dovrebbero essere i primi Giochi dopo la pandemia.