AGI - Il destino a volte fa giri lunghi, lunghissimi. E ti restituisce quello che ti ha ‘rubato’ mesi, o magari anni prima. Come è successo a Roberto Mancini e Gianluca Vialli, gli amici di una vita, i “gemelli del gol” della mitica Sampdoria di Mantovani. A Wembley, 29 anni fa, avevano lasciato al Barcellona la Coppa dei Campioni a pochi minuti dalla lotteria dei rigori. Nel nuovo Wembley, in una notte ‘magica’ come fino a un mese fa pochi avrebbero sperato, hanno avuto dai rigori la più dolce delle rivincite.
“La foto simbolo degli Europei? Quella dell’abbraccio tra Mancini e Vialli”, ha detto il numero uno del Coni, Giovanni Malagò. Difficile dargli torto. Perché in quell’abbraccio ci sono anni di sacrificio, di sudore, di speranza, di affinità calcistica in campo – con uno nelle vesti del rifinitore geniale e l’altro nei panni del bomber implacabile – e di autentica amicizia fuori.
“Fummo sfortunati allora, oggi si è chiuso un cerchio”, ha ricordato Mancini. ‘Allora’ era il 20 maggio 1992. All’ultimo atto dell’ultima edizione della Coppa dei Campioni - che dall’anno dopo sarebbe diventata Champions - erano arrivati il Barcellona di Zubizarreta, Stoichkov, Laudrup e Guardiola e la Samp di Mancini&Vialli, certo, ma anche di Pagliuca, Vierchowod e Cerezo, capace solo un anno prima di conquistare un incredibile scudetto.
Era la riedizione della finale di Coppa delle Coppe, vinta dal Barca sulla Samp tre anni prima, ma stavolta la delusione sarebbe stata ancora più cocente, quasi insopportabile: reti inviolate per tutti e 90 i minuti regolamentari, con i blucerchiati più vicini dei blaugrana al vantaggio, poi – ad una manciata di minuti del termine – la punizione-bomba di Ronald Koeman, Pagliuca che guarda la palla rotolare in rete e via alla festa catalana.
Quasi una maledizione. Che 29 anni dopo è stata spezzata, nella stessa città e ‘quasi’ nello stesso stadio dal balzo di Donnarumma che ha cristallizzato il 4-3 decisivo. E’ stato allora che Mancini e Vialli si sono cercati, si sono trovati e hanno pianto di nuovo assieme. Stavolta di gioia. Mentre Florenzi, uno che la sera di quella finale di Coppa dei campioni aveva poco più di un anno, davanti a tutte le telecamere spiegava come dietro il trionfo azzurro ci fossero il ‘gruppo’, lo staff, naturalmente il ct e proprio lui, Gianluca Vialli: “un esempio vivente, che ci dimostra ogni giorno come si deve vivere e come ci si deve comportare in qualsiasi situazione. Mi odierà per questo, ma tutti devono saperlo”.