AGI - "Le mie sensazioni? Adesso sono un po’ strane" confida il judoka Fabio Basile. "Ho saltato il mondiale. Ho un po’ più di infortuni addosso rispetto a Rio. Ma, certo sento il fuoco dentro e questo è importante. La mia determinazione è anche superiore rispetto alla prima Olimpiade". Non si nasconde, non usa diplomazie, non rinuncia al coraggio della chiarezza, Basile. 27 anni, concentrato puro di potenza e agilità che, fin dall’adolescenza, gli hanno permesso di primeggiare nel judo. Dai primi tornei fino alla consacrazione di Rio 2016, anno in cui vinse la duecentesima medaglia d’oro olimpica per l’Italia.
Sì, Fabio Basile è già stato campione olimpico, ma questo non basta a capirlo e a spiegarlo. C’è di più. Fabio è un uomo complesso e non solo un atleta, capace di portare il suo spirito guerriero - comunque vada - dal tatami alla vita, sempre disposto a fare i conti con tutte le difficoltà che l’esistenza presenta, con limiti e sofferenze che, spesso, atleti del suo calibro provano a nascondere.
La sua storia, ora, è anche un libro: L’impossibile non esiste (Giunti editore, 16,50 euro, 174 pp.). Un’autobiografia che esce alla vigilia delle Olimpiadi di Tokyo dove avrà le luci dei riflettori puntate addosso, dove non sarà più una sorpresa come nell’ultima edizione: "Ma la pressione non mi cambia. Il mio obiettivo è sempre quello: salire sul tatami e menare tutti". Non mancherebbero le scusanti o i motivi per mettere le mani avanti: "La pandemia è stata, anche per gli atleti marziali, un nemico temibile. Allenarsi nella bolla, nei palazzetti vuoti: combattere senza pubblico è una cosa orrenda. E poi ho dovuto affrontare il cambio di categoria. È tutto diverso. È una difficoltà in più". Ma "è la mia determinazione che mi ha portato a vincere. Nient’altro. Quella conta. In quella confido". E lo si scopre leggendo il libro di Fabio.
Appena nato è finito in incubatrice per una perdita di peso anomala. A quattro anni ha rischiato la vita per una gravissima polmonite. A scuola era il bambino irrequieto, emarginato e preso in giro dai compagni, perché la dislessia lo costringeva a scrivere lentamente e, ogni tanto, a balbettare. Avrebbe potuto avvolgersi nelle sue insicurezze, Fabio, e lasciarsi accogliere dal loro abbraccio caldo e paralizzante.
Invece ha scelto diversamente. Non ha nemmeno cinque anni quando sale per la prima volta su un tatami, e capisce che lì troverà se stesso. Che nel judo potrà fare la differenza perché in quel contesto tutte le caratteristiche che lo rendono straniero al resto del mondo sono punti di forza.
Ha fronteggiato la paura della morte, ha una scala di valori del tutto differente da quella dei suoi coetanei, ha timore di esporsi di fronte al gruppo ma la tenace volontà di farlo comunque, ha un’energia fisica esplosiva e inesausta. Ha i numeri per diventare un campione. Si esercita in ogni momento, con un solo obiettivo: essere il migliore, riscattarsi, dimostrare a tutti quanti il suo valore. Quando comincia a vincere, ai campionati italiani e internazionali, è come una valanga: prende tutto quello che può ma non gli basta, vuole di più. Vuole le Olimpiadi.
La sua conquista di Rio 2016 è l’impresa di un ragazzo giovanissimo con la mentalità di un samurai, che sgretola a colpi di medaglie i dubbi di tecnici e allenatori e, nonostante una caviglia rotta, si qualifica battendo gli stessi avversari che da bambino idolatrava. Si potrebbe pensare che aver raggiunto questo traguardo l’abbia saziato, ma non è così. Fabio è un guerriero che oggi marcia verso un nuovo obiettivo: entrare nella leggenda. Vincere ancora e tornare sul tetto del mondo.
Anche per questo, se gli chiedi di rilasciare un commento riguardo al suo libro, dice: "Vorrei che quest’opera venisse letta soprattutto per il suo carattere motivazionale. Ho voluto scrivere per dire che non esistono mai scuse. E sia chiaro: non è una cosa che metti in relazione solo all’Olimpiade. È nella vita di tutti i giorni questo. Vale per tutti: inseguire un obiettivo, avere la costanza e la pazienza di perseguirlo è qualcosa che riguarda ognuno di noi. I judoka dicono sempre che devi sapere dove mettere le mani. E’ qualcosa che ha a che fare con la tecnica, ovvio, ma è qualcosa che ha a che fare anche con la mente. E’ disciplina e coraggio. È quando il tuo obiettivo vale più di tutto, quando sei disposto realmente a sacrificarti per ottenerlo che sei davvero pronto per andarlo a prendere. Vorrei fosse questo il messaggio da trasmettere. È questo che vorrei fare passare".
E, nella speranza di avere presto, ancora, una medaglia da dedicare, il pensiero corre, anche alla fine del libro, a chi ha reso possibile tutto. "Questo libro lo dedico alla mia famiglia" spiega Fabio. "A mia mamma e a mio papà che mi hanno sostenuto. Ai miei compagni di palestra e ai miei maestri. Senza di loro non ce l’avrei fatta".