AGI - Inni, sport e razzismo: l'Inghilterra di rugby potrebbe rinunciare al suo "Swing Low, Sweet chariot" che dalla fine degli anni '80 i suoi tifosi cantano negli stadi come una sorta di inno ufficioso, a causa del suo legame con lo schiavismo. La federazione, Rfu, ha spiegato di aver avviato una riflessione sul brano scritto da Wallis Willis, uno schiavo della popolazione dei 'choctaw' vissuto in Oklahoma a fine '800.
L'omaggio a 'Chariots'
Nel pieno del dibattito innescato dall'uccisione di George Floyd a Minneapolis si deve "riconsiderare il suo contesto storico così come la nostra responsabilità nell'educare i tifosi a prendere decisioni informate", ha fatto sapere la federazione. Eppure la canzone che era stata già adottata dalle lotte civili degli anni '60 era approdata a Twickenham
nel 1987 proprio come omaggio a Martin Offiah, detto "Chariots", il primo rugbista nero nella nazionale inglese.
La proposta di Bruce Arena
C'è poi chi non vuole più sentir risuonare l'inno degli Stati Uniti prima delle partite di club, dal calcio al football americano: è il caso dell'ex ct della nazionale di soccer, Bruce Arena, che ha sottolineato come questa abitudine sia sconosciuta ad altri Paesi e non faccia che alimentare polemiche come quelle per l'inchino polemici dei giocatori di colore nelle partite di football. "Mi chiedo perché lo facciamo. Questo mette le persone in posizioni scomode", ha detto il 69enne tecnico di origini calabresi che attualmente allena i New England Revolution. "non si suona l'inno al cinema, a teatro o per altri eventi negli Stati Uniti. Quindi penso che sia inappropriato farlo prima di una partita di calcio o di baseball". L'appello arriva dopo che la federazione Usa americana ha deciso di togliere l'obbligo per i calciatori di stare in piedi durante l'inno proprio alla luce del caso Floyd. "Sono stato molto onorato di rappresentare gli Stati Uniti ai Mondiali e in altre partite internazionali, lì ha senso suonare l'inno nazionale", ha detto Arena.