L a Brexit non riesce a mettere d’accordo neppure gli allenatori di calcio: quello del Liverpool, Jurgen Klopp, è un sostenitore dell’Unione Europea, come spiegava a Channel 4 News lo scorso luglio: “Finché rimaniamo uniti come europei – le parole del tecnico tedesco ma oramai britannico d’adozione, dove allena da tre anni e mezzo – tutto rimarrà in ordine”. Diverso il punto di vista del coach del Cardiff, il settantenne Neil Warnock, che pochi giorni fa ha invocato l’uscita del Regno Unito dal club dei 28 in fretta e furia: “Non vedo l’ora – il suo sfogo in conferenza stampa – al diavolo il resto del mondo”.
"To Hell with the rest of the world!"
— dave M ❄️ (@davemacladd) 14 gennaio 2019
Neil Warnock writes the Brexit slogan for the next bus pic.twitter.com/PcnR87JCYz
Per sua fortuna il giorno dell’addio si avvicina: il prossimo 29 marzo Londra saluterà Bruxelles e tutti i Paesi membri, a meno di colpi di scena. Rimane però da capire il modo: dopo la bocciatura del Parlamento all’accordo, si fa sempre più strada l’ipotesi no deal. Un’eventualità che avrebbe conseguenze anche sul destino della Premier League, il campionato di calcio a cui partecipano le squadre inglesi più quella gallese di Cardiff: Forbes ha ne ha elencate alcune.
Gli strani conteggi di soldi e presenze in Nazionale per poter arrivare in Gb
La prima conseguenza è anche la più ovvia: fuori dall’Unione Europea, il Regno Unito abbandonerà il principio della libera circolazione delle persone, un diritto finora garantito a tutti i cittadini Ue. Senza un accordo con Bruxelles, cioè con un divorzio privo di intese, chi vorrà trasferirsi in Inghilterra dovrà perciò procurarsi un permesso di lavoro. Che non è un gioco da ragazzi, anzi: le norme attuali che regolano i trasferimenti dei calciatori extracomunitari verso il Regno Unito sono stabilite dalla Football Association, la federazione calcistica inglese, e prendono in considerazione diversi dati.
Primo tra tutti il numero di presenze nella propria Nazionale nei due anni precedenti l’acquisto: queste non devono essere meno di un terzo delle gare complessivamente disputate dalla propria Selezione (nel caso in cui il calciatore provenga da una Nazionale classificata tra prime dieci del ranking Fifa).
La percentuale di gare giocate sale fino al 75% in caso di Paesi che si collocano tra la 31esima e la 50esima posizione della medesima classifica. In caso contrario fanno fede i soldi: se le tasse di trasferimento e lo stipendio che guadagnerà in Inghilterra sono più alti della media di quelli della stagione precedente, ecco il via libera all’arrivo del calciatore extracomunitario.
Un meccanismo complicato anche soltanto da spiegare, figuriamoci da applicare a ogni calciatore in arrivo tra i club di Premier League. Basti però sapere che nemmeno la metà dei 1022 calciatori europei arrivati in Inghilterra dopo il 1992, avrebbero ottenuto il permesso di lavoro se la normativa che si applicherà in futuro fosse stata in vigore finora (dato elaborato dal sito FiveThirtyEight).
Più sudamericani o più inglesi in Premier League?
Già oggi il campionato inglese è uno di quelli con il maggior numero di stranieri: 345 dei 515 calciatori delle venti squadre di Premier League non sono inglesi (dati Transfermarkt). Che cosa ci si può attendere al riguardo da una Brexit no deal? Gli scenari sono sostanzialmente due. Il primo vede i club diminuire il numero di acquisti all’estero, coltivando i talenti in casa e puntando sui settori giovanili.
Un’ipotesi affascinante per i nostalgici del calcio di cinquanta o sessant’anni fa, ma improbabile per un paio di ragioni: la prima è che i club di Premier sono i più ricchi in Europa – e nel mondo – e il calciomercato inglese muove più soldi di qualsiasi altro (900 milioni di passivo a bilancio tra partenze e arrivi la scorsa estate); la seconda ragione è che non ci sono prove che dimostrino che imbottire le squadre di Premier di calciatori inglesi abbia effetti positivi a livello di Nazionale (che anzi ha sfiorato la finale agli scorsi Mondiali di Russia). E allora potrebbe accadere l’opposto, cioè la rincorsa ai calciatori stranieri: non più europei, però, ma sudamericani.
Quelli ai quali il calcio europeo strizza da sempre l’occhio, ma il cui arrivo è stato finora limitato proprio dalle regole stringenti. Se però non dovessero più esserci differenze tra europei ed extraeuropei, scrive Forbes, allora forse un numero sempre maggiore di calciatori potrebbe arrivare dall’altro emisfero della Terra.