I l dito di Martina Navratilova indica la luna quando dice: "È sicuramente ingiusto per le donne che devono competere contro persone che, biologicamente, sono ancora uomini. Non basta definirsi donna per competere con le donne. Devono esserci dei criteri, se hai un pene non puoi competere con le donne. La via scelta dalla maggior parte delle Federazioni sportive non risolve il problema. Così è una vera e propria truffa che ha consentito a centinaia di atleti che hanno cambiato genere, di vincere quello che non avrebbero mai potuto ottenere in campo maschile, specialmente negli sport in cui è richiesta potenza".
La “luna” è Caster Semenya, la 28enne sudafricana bi-olimpionica degli 800 piani (2012 e 2016) e tre volte campionessa mondiale della specialità dal 2009 al 2017, che rappresenta una spina nel fianco del Cio, il Comitato Internazionale Olimpico e ha presentato un nuovo ricorso al Tribunale Arbitrale dello sport contro la Iaaf, la Federazione atletica mondiale. All’ordine del giorno proprio in questi giorni.
Un caso ciclico
Il tema del “genere” degli atleti è sempre stato molto dibattuto. Ci sono stati casi clamorosi come quello del primo caso di imbroglio sessuale olimpico, Dora Ratjen, all’anagrafe Heinrih Ratjen, che gareggiò come donna all’Olimpiade di Berlino ’36, classificandosi quarta, e agli Europei di Vienna del ‘38 stabilì anche il record mondiale con 1,70. Ma, al ritorno in Germania, due donne ne notarono la barba, fu arrestata e privata delle medaglie.
Clamoroso fu anche il caso del primo atleta transessuale, l’ex oculista statunitense Richard Raskind che, dopo la leva in Marina e essersi anche sposato con una donna, negli anni 70 si operò, diventò René Richards e, attraverso una sentenza del tribunale, ottenne di giocare, da donna, anche gli Us Open di tennis, arrivando, fra le polemiche, alla finale di doppio del ’77 e al numero 20 del mondo di singolare nel ’79. Unendosi poi, da giocatrice mancina e grande motivatrice, al team che accompagnava Martina Navratilova. Sì, proprio la attuale contestatrice delle atlete transgender, o comunque non sicuramente donne al cento per cento secondo i canoni tradizionali.
Anche se il caso più eclatante, nei tempi moderni, sul tema di sessualità degli atleti, è quello dei Giochi di Montreal 1976, quando Caitlyn Jenner, già Williams Bruce, diventò la prima trans ad aggiudicarsi l’oro olimpico, nel decathlon. Da quel momento, il Cio ha preso in mano la questione. E, quando si è trovato a fronteggiare il caso Semenya, è entrato nel labirinto dei test medici specifici. Non ha reso pubblici i risultati, lasciando aperta la strada di ”iper-androginismo”, ma ha dovuto concedere all’atleta di competere ancora tra le donne. Di più: Caster è stata la portabandiera e quindi il simbolo di tutti gli atleti del suo paese, ai Giochi di Londra 2012.
Il caso della velocista indiana Dutee Chand sembrava aver segnato un punto decisivo a favore delle iper-androgine. Dopo l’exploit ai Campionati asiatici giovanili del 2014, Dutee era stata esclusa all’ultimo momento dalla sua Federatletica dai Commonwealth Games, e si era rivolta Tribunale arbitrale dello sport. Aveva dimostrato che il suo corpo produce quantità non comuni dell’ormone maschile, aveva vinto la causa ed era stata totalmente riabilitata.
Con tanto di crociata della collega Santhi Soundarajan contro la violenza psicologica e dai danni irreparabili e perenni subiti dalla ragazza, una volta che i contorni della vicenda erano diventati di dominio pubblico. Creando evidenti e clamorosi contraccolpi sul Cio e sulle federazioni nazionali. Che avevano concesso l’happy end all’atleta: “Gli ultimi quattro anni sono stati molto duri. Ho affrontato la negatività, la paura di una conclusione prematura dell’attività sportiva, gli insensibili commenti sul mio corpo. Sono estremamente sollevata: posso di nuovo correre, senza preoccupazioni, sapendo che la mia unica battaglia è solo in pista e non anche al di fuori”.
La legge del Cio
Il problema fondamentale è che le linee guida del Cio non sono legge, ma raccomandazioni alle singole federazioni sportive. Che si sentono fortemente minacciate da altre cause giudiziarie, cioé da richieste di risarcimenti danni assolutamente non quantificabili . Così, fino al 2003, il punto saldo, la regola scritta comune per la certificazione di atleta uomo o donna, era l’intervento chirurgico, seguito da almeno due anni di terapia ormonale. Oggi, invece, vale il livello di testosterone. Che, per determinare il genere femminile, non può eccedere per un anno intero i 10 nanogrammi per litro, prima dell’evento sportivo al quale ci si iscrive. “Il requisito di cambiamenti anatomici come pre-condizione alla partecipazione non è necessario a preservare la competizione leale”.
Quindi, non è necessaria la castrazione. L’atleta deve dichiarare ufficialmente il proprio sesso per quella gara, ma può presentarsi in futuro con un altro, da uomo a donna e viceversa. L’esigenza vincente è stata quella di “assicurare per quanto possibile che gli atleti trans non siano esclusi dall’opportunità di partecipare alle competizioni sportive”.
Nuovi limiti di testosterone
Ma, ad aprile, per tacitare le tante critiche delle altre atlete e colmare una evidente lacuna regolamentare, la Iaaf ha modificato il limite dei livelli di testosterone portandolo a sei mesi prima della competizione. Scatenando la denuncia della Semenya al Cas, spalleggiata da Federcricket e Federcalcio femminile del paese, oltre che dagli attivisti di tre diversi gruppi che difendono i diritti umani. La tesi è che, per natura, la sudafricana ha una produzione insolita di ormoni "per un differente sviluppo sessuale” (DSD), e non può ridurre questa situazione fisica che l’avvantaggia nei confronti delle altre atlete donne.
Come invece pretenderebbe la Iaaf che, il 26 marzo, vorrebbe cambiare ufficialmente la famosa regola sul famigerato DSD (differenze sul diverso sviluppo sessuale), alzando i paletti per le iscritte alle prove dai 400 metri a quelle più lunghe e quindi escludendo automaticamente la discussa atleta ai Mondiali di fine settembre a Doha. Con la chiarissima spiegazione del presidente, Sebastian Coe: “Abbiamo bisogno di definire categorie nell’ambito del nostro sport che garantiscano che il successo sia determinato dal talento, dall’impegno, dal duro lavoro, non da altri fattori che non siano considerati giusti o significativi, come gli enormi vantaggi fisici che un adulto ha su un bambino, o un atleta di sesso maschile su quello di sesso femminile. Abbiamo quindi bisogno di trovare una soluzione equa per gli atleti intersessuali / DSD che desiderano competere nella categoria femminile”. La Iaaf ha però già annunciato che accetterà qualsiasi decisione del Tribunale arbitrale dello sport