G iocare ai videogame a livello agonistico può essere considerata una attività sportiva a tutti gli effetti, ma per diventare discipline olimpiche devono adeguarsi ai valori delle Olimpiadi e di dotarsi di controlli antidoping. È questa in sintesi della decisione presa oggi dal Comitato olimpico internazionale dopo il summit di Losanna. "Gli e-sports - ha scritto nel comunicato il Cio - possono essere considerati un'attività sportiva, e i giocatori coinvolti si allenano con un'intensità che può essere assimilata a quella degli atleti delle discipline tradizionali". Il comitato ammette la crescita negli anni del fenomeno, un primo passo verso l'ingresso dei videogame nel mondo olimpico (La Repubblica).
Ma cos’è un e-sport? Di fatto potremmo considerarli lo sport di giocare ai videogame. Da soli o in gruppo, con squadre che si allenano insieme e si affrontano in tornei. Ci sono tornei dei maggiori giochi in circolazione: Fifa per gli amanti del calcio, Call of Duty per gli amanti dei giochi di guerra, o giochi magari meno noti al grande pubblico ma molto apprezzati nel settore come il fantasy Warcraft.
Perché il Cio lo potrebbe considerare uno sport olimpico
Come negli e-sport, ci sono allenamenti e training da seguire. Per essere un bravo gemer bisogna allenarsi, anche 10-15 ore al giorno aveva rivelato un’inchiesta del Guardian lo scorso agosto. Ogni sfida, ogni torneo si gioca sulla bravura dei giocatori e sulla strategia della squadra. E le partite possono durare anche 6-12 ore.
Le squadre, riporta il quotidiano inglese, sono composte da ragazzi che in media hanno dai 15 ai 25 anni. Difficilmente hanno un’età maggiore. Per molti ragazzi, soprattutto negli Usa, giocare agli e-sport è diventato un lavoro. Un lavoro vero, e ben pagato. Un caso oramai simbolo uomo è quello di Peter “ppd” Dager. Americano, 24 anni, a colpi di tornei vinti ha incassato premi di 2,6 milioni di dollari. Ha da due anni abbandonato l’attività da giocatore per ricoprire un ruolo di dirigente in una altra squadra di e-sport: Evil Geniuses. Come un calciatore. E come nel calcio si può essere più o meno bravi, più o meno talentuosi e quindi più o meno richiesti dal mercato.
Un giro d'affari che nel 2020 arriverà a 1,5 miliardi
I soldi non mancano. Questi tornei soprattutto negli Usa e in Asia sono diventati un business capace di generare nel 2016 un giro d’affari di 463 milioni. Quest’anno la previsione è di 696 milioni (+41,3%). E per il 2020, secondo il report annuale di Newzoo che è la mappa più autorevole dei numeri degli e-sport, la previsione è di 1,5 miliardi.
E non mancano i fan, che seguono giocatori o squadre specifiche. Disposti a pagare biglietti da centinaia di dollari per vedere gli incontri e spendere in media ogni anno in merchandising e biglietti 64 milioni. Celebri le notti alla Key Arena di Seattle, dove si tiene ogni anno The International: il più grosso evento mondiale di e-sports, capace di raccogliere 20mila fan e premiare le squadre vincitrici con un monte premio pari a 24 milioni di dollari.
E non mancano gli sponsor, con i loro nomi sulle casacche delle squadre nei tornei: nel 2016 solo alcuni dei maggiori come Intel, Samsung, MasterCard e Coca Cola hanno speso circa 320 milioni per finanziare le squadre. I media 95 milioni per prendersi i diritti per la trasmissione delle partite. E 155milioni sono arrivati dalle pubblicità.
Il lato oscuro: doping e scommesse
Ma nel lato lato oscuro degli e-sport, come sottolinea il Cio nel comunicato, ci sono il doping e le scommesse. Molti giovani giocatori nel corso degli anni ha ammesso di fare un uso eccessivo di energy drink o Adderall, un farmaco (o un mix di farmaci) usato contro i deficit di attenzione. Mentre la UK Gambling Commission ha evidenziato come negli eSport ci siano forti “rischi e necessità simili ad altre forme di competizioni” come “truccare le partite”. Servono quindi licenze per gli intermediari e divieti per i minori. In altre parole: il settore deve essere regolamentato.
Il fenomeno in Italia
In Italia il fenomeno è ancora embrionale. Ma qualcosa è nato negli ultimi anni: nel 2016 un torneo è stato organizzato nell’incubatore di startup Nana Bianca di Firenze: si chiamava Italian Gaming League, e al vincitore andarono 5mila euro. Ancora lontani, per ora, dai numeri di Usa e Asia.