L ’exploit della Nazionale femminile ha di sicuro acceso i riflettori sulle nostre atlete e calciatrici. Togliendole dall’ombra i cui erano precipitate da vent’anni, il tempo in cui non hanno più partecipato al torneo della Coppa del Mondo. E sotto la luce e la lente d’ingrandimento si scoprono cose interessanti. Come, ad esempio, che oggi “non essendo professioniste le calciatrici possono siglare solo un accordo economico non superiore ai 12 mesi e con limiti precisi”. Per la precisione?
Il fatto è che una calciatrice, in Italia, “non può ricevere un compenso sopra i 30.658 euro lordi a stagione”. E che grazie varie modifiche del regolamento Figc “si possono sommare indennità di trasferta, rimborsi forfettari e premi per un massimo di 61,97 euro al giorno per 5 giorni alla settimana”. Fatti i conti, il risultato è che in media una calciatrice in serie A “guadagna intorno ai 15mila euro lordi annui” si può leggere in un servizio pubblicato sull’edizione cartacea da Il Sole 24 Ore domenica 23 giugno. E le società “hanno investito coinvolgendo per lo più gli sponsor delle squadre maschili”.
La questione del professionismo
Insomma, pure nel calcio le donne guadagnano meno degli uomini. Però impatto di un professionismo al femminile tout court, sottolinea Stefano Braghin, Head of Academy & Women’s Football Juventus, “potrebbe rivelarsi difficile per le società più piccole per il costo del lavoro”. Nel senso che servirebbe “una soluzione che permetta alle calciatrici di giocare in club che abbiano una sostenibilità economica e ai club di potersi difendere da eventuali proposte che potrebbero arrivare alle proprie calciatrici dall’estero“. Cosicché il risultato un paio di squadre dello scorso campionato di serie A sarebbero in difficoltà a presentare l’iscrizione per la prossima stagione.
E così, a proposito della Legge 91/1981 sul professionismo sportivo, “lo scorso 15 febbraio il Consiglio dei Ministri ha presentato alla Camera un disegno di legge, il n. 1603, che prevede, tra l’altro, l’eliminazione della disparità di trattamento tra professionisti e dilettanti”. E ora, dopo una prima battuta d’arresto, proprio le vittorie della Nazionale nei giorni del Mondale, sembra che abbia dato nuovo impulso alla possibilità che la discussione in corso alla Camera dei deputati possa riprendere quanto prima.
Tant’è che “la Figc sta cercando attraverso il “Collegato Sport” di ottenere sgravi fiscali (sotto forma di crediti d’imposta), che non riguarderebbero solo il calcio femminile, da reinvestire in infrastrutture e nei settori giovanili” si legge sul quotidiano confindustriale”.
Intanto dall’ultimo bilancio integrato della Federazione gioco calcio si scopre che nel 2017 le calciatrici tesserate in Italia sono 23.903 con 709 società. Numeri destinati a salire se si considerano anche gli ascolti record in tv per i match della Nazionale (oltre 6,5 milioni sulla Rai per Italia-Brasile con il 29.3% di share e 800mila spettatori medi su Sky) e l’incremento di fans sui social con una community di oltre 130 mila individui. Alle quali lo status di dilettanti sta sempre più stretto. E non solo per una questione economica “quanto per quelle tutele che mancano, dal salario minimo allo stato previdenziale e assicurativo” si può leggere ancora nel servizio.
Cosa succede negli altri paesi
Ma il trattamento in Europa appare ben diverso. Secondo la rivista France Football, l’Uefa conta 1.396 giocatrici e la più pagata Ada Hegerberg dell'Olympique Lione con 400mila euro all’anno mentre la nostra Barbara Bonansea si deve accontentare solo di poter essere “testimonial Nike”, anche se è pur sempre “la prima donna ‘in store’ insieme a Cristiano Ronaldo, Mbappè e Neymar”.
Mentre Sara Gama fuori dal campo è stata scelta da Mattel “come una delle 17 donne del presente e del passato che hanno saputo diventare fonte di ispirazione per le generazioni di ragazze del futuro dedicando loro una Barbie”. Insomma, per le nostre calciatrici vige un po’ la regola aurea dell’arte dell’arrangiarsi, sei si ha un po’ di fortuna e di quotazione personale.
Un po’ meglio va negli States, che contano 4,18 milioni di praticanti (erano 1,67 milioni nel 2006) con 9 mila calciatrici affiliate ai vari club. E che “lo scorso anno, l’investimento della US Soccer per la squadra femminile è stato di 17,1 milioni di dollari su un budget annuale di 71,9 milioni, esclusi gli 1,7 milioni stanziati per la National Women's Soccer League.
Tra i partner della federazione americana si trovano brand come Nike, Volkswagen, At&t, Coca Cola, Johnson & Johnson, Continental Tire, Cutter, Deloitte, Hisense, Powerade, TahHeuer, Secret, Volpi Foods e Thorne” riferisce ancora Il Sole.
E le calciatrici Usa, quanto guadagnano? Scrive il quotidiano di Confindustria che “ricevono uno stipendio base di 72mila dollari con un bonus di 1.350 dollari a vittoria per partita” mentre i compensi degli uomini invece, che si basano su un sistema pay-for-play, “possono arrivare fino a 263mila dollari”.
“Un movimento, quello statunitense, ovviamente lontano dal calcio europeo che a oggi conta solo sei nazioni con più di 100.000 tesserate: Germania, Inghilterra, Francia, Olanda, Norvegia e Svezia. In Germania, dove le tesserate sono quasi 300 mila, il budget della federazione a disposizione della nazionale femminile è di 5 milioni contro i 40 milioni previsti per il team maschile”. Giusto per fare una proporzione.