Picchio De Sisti: "Se la Juve ha sbagliato è giusto darle una legnata"
AGI - Lunedì 13 marzo Giancarlo De Sisti compirà 80 anni. L’ex bandiera di Roma e Fiorentina degli anni ’60 e ‘70, campione d’Italia con i viola, campione d’Europa (nel 1968) e vice campione del mondo (1970) con la nazionale, si racconta all’AGI in un’intervista telefonica in cui emerge forte l’umanità e l’antica educazione di un uomo diventato idolo di due tifoserie caldissime.
Per tutti quel campione che un grande giornalista sportivo, Carlo Felice Chiesa, definì "regista di centrocampo tutto concretezza e pochi svolazzi", non è Giancarlo, ma ‘Picchio’. Soprannome datogli dai romani che così chiamano la trottola. A 80 anni la cosa che più rende felice De Sisti è il fatto di essere amato e considerato un esempio di sportivo e di professionista a distanza di 40 anni dal ritiro dall’attività agonistica e venti da quella di allenatore.
Il 13 marzo compie 80 anni. Quali sono tra i tanti i suoi ricordi più belli e quale il suo maggior rimpianto che conserva del calcio?
“Tra i ricordi positivi certamente ci sono l’esordio e poi l’inserimento nel panorama del calcio professionistico. Da bambino sogni di fare il calciatore ma resta il sogno finché arriva l’esordio. Certamente ricordo con grande piacere qualche successo tipo il campionato vinto, la Coppa Italia e, certamente, tra le più grandi soddisfazioni che ho avuto c’è Italia-Germania 4-3 a Messico ’70, una partita che non dimenticherò più. Ma c’è anche l’inserimento nella Hall of Fame delle due squadre in cui ho giocato, Roma e Fiorentina. Insieme alla consapevolezza di essere stato un esempio per i giovani"
La delusione più grande?
"Ancor più dello scudetto perso all’ultima giornata quando allenavo la Fiorentina nel 1981-82, il mio rammarico maggiore è la sconfitta in finale al mondiale del ’70 con il Brasile. Anche per la soddisfazione professionale perché un conto è aver vinto una partita leggendaria e un conto è aver vinto il mondiale. Anche se quello era davvero un Brasile fortissimo”
Era il Brasile dei fenomeni e, su tutti, c’era Pelé. Secondo lei è stato davvero il più forte giocatore di tutti i tempi, anche più di Maradona?
“Sì, ne sono convinto: è stato il più forte di tutti. Il più completo, se sommiamo tutte le qualità che aveva: il rapporto con pallone, la forza nelle gambe, l’abilità nel dribbling. Inoltre, a differenza di Maradona che era soprattutto un mancino, era forte con tutti e due i piedi”
Lei è stato un grande esempio per le nuove generazioni di calciatori ed è stato anche allenatore di giovani a livello di club e a livello di Nazionale fino all’inizio degli anni 2000. In vent’anni cosa è cambiato per i giovani talenti italiani con l’avvento dei procuratori responsabili, tra l’altro delle note vicende di Donnarumma, prima, e di Zaniolo poi?
“Non si tratta solo dei procuratori. In Italia si è creato da anni il problema dei genitori. Nel ’68 con Rivera, Mazzola, Losi, Bulgarelli ricostituimmo l’Associazione italiana calciatori che divenne un sindacato mentre prima faceva soprattutto gli interessi club. Una delle prime battaglie che facemmo era quella contro i procuratori che ancora non erano così importanti e non si immaginava che potessero entrare in maniera così forte nel mondo dei giovani calciatori. Non è giusto però non parlare anche dei genitori che ci mettono del loro e che pensano solo ai conti correnti. Ai miei tempi non era così: ricordo ancora che quando Paolo Conti, portiere della Roma, venne a firmare il contratto portandosi dietro il commercialista venne criticato dai giornali. In Italia la presenza del genitore è importante nelle trattative economiche, mentre in Inghilterra, per esempio, hanno tacitato la figura del genitore mettendo addirittura delle penali. Oggi se non fanno giocare il figlio, i genitori alzano la voce, fanno casino e arrivano anche a minacciarti. Personalmente, comunque, resto alla mia convinzione di allora e credo che sarebbe meglio se i procuratori non ci fossero proprio. Zaniolo è bravo e fortunato, ha giocato in nazionale prima di giocare in serie A. E’ bravo, ma Roma è una piazza speciale ma certamente non facile”.
Lei conosce bene la piazza romana. Oggi c’è grande entusiasmo per Mourinho e i tifosi sono sempre dalla sua parte. La recente squalifica di due giornate a seguito della discussione con quarto uomo durante Cremonese-Roma, però, apre una questione nuova: può essere un precedente pericoloso se un assistente di gara manca di rispetto a un allenatore? A lei è mai successo?
“Io non prendo la parte di nessuno perché non c’ero e non ho percezione delle parole che sono volate, però penso che chiunque - arbitro o allenatore - devono improntare il rapporto sempre con rispetto ed educazione perché i giovani ti guardano, sei un esempio e devi ricordartelo sempre. Ne sono sempre stato convinto e ai miei tempi sono stato uno dei più educati: quando gli parlavo lo chiamavo ‘signor arbitro’ o col cognome. Mi rivolgevo a lui dandogli del ‘lei’ perché era un pubblico ufficiale. Detto questo, ricordo una volta un arbitro in Fiorentina-Inter, prima di un calcio di punizione contro di noi, con Mazzola e un altro che vanno sulla palla mentre io ero nel gruppo che preparava la barriera. L’arbitro mi disse di togliermi. Io mi sono tolto ma poi sono tornato e la seconda volta mi ha detto ‘vada via e non rompa i co…’. Io ero capitano della Fiorentina e titolare in nazionale. Sono tornato sui miei passi. Ho detto che l’arbitro che una cosa del genere era gravissima e l’avrei detto a Franchi. Era non solo il presidente della Fiorentina, ma anche il potentissimo presidente della Figc e l’arbitro letteralmente se la fece addosso. Da quel momento nessuno poteva toccarmi che lui fischiava a mio favore.
Un tema attualissimo riguarda il caso plusvalenze e la penalizzazione della Juventus. Oggi la Figc ha consegnato ai legali bianconeri la ’carta Covisoc’ con cui sperano di annullare la penalizzazione di 15 punti per il club. Lei che ne pensa?
“Che non si sappia la verità dopo tre anni mi sembra strano. Comunque non conosco le carte, ma se c’è una certezza che è stato commesso un illecito, se è stato accertato che la Juve ha imbrogliato è giusto che il club bianconero paghi la penitenza. È giusto dargli una legnata…!”
I tempi sono cambiati da quando giocava lei, ma esiste oggi un calciatore italiano che le assomiglia per caratteristiche, per concretezza e visione di gioco?
“Domanda difficile. Il calcio è cambiato molto, oggi è più veloce, questione di allenamento. Già nel ’77 hanno provato a eliminare la figura del playmaker poi con i fenomeni tipo Pirlo hanno cambiato idea. Per molti anni ho fatto il centrale ma ero una mezz’ala autentica. Da piccolo volevo assomigliare a Schiaffino, da allenatore ho imitato Liedholm. Se devo dire il nome di un calciatore che forse mi assomiglia dico Jorginho e, in parte, Locatelli. Cristante? Non particolarmente, ha visione di gioco ma è robusto”.
Lunedì spegne 80 candeline. C’è una cosa più di tutte che la rende soddisfatta se si guarda indietro?
“Sono soddisfatto della mia carriera sportiva così come lo sono della mia famiglia, ma più di tutto mi sento bene nella consapevolezza di essere stato un esempio per i giovani. Non dico un modello, ma una persona che si è sempre comportata bene e ha cercato di fare il proprio lavoro con onestà, dedizione e soprattutto nel rispetto delle persone”.
Auguri Picchio!