AGI - La Scaloneta contro l'equipe di Dedé. Chissà chi avrà la meglio quando Argentina e Francia giocheranno la finale del Mondiale. Scaloni contro Deschamps: con il tecnico sudamericano a un passo dal prendersi la più grande delle rivincite sull'opposizione interna che ha accompagnato la sua nomina ("Ma sono impazziti?" disse Maradona quando Lionel fu scelto dall'Afa all'indomani di Russia 2018 per sostituire Jorge Sampaoli e soprattutto per ricostruire una Seleccion che neanche si sapeva se avrebbe potuto contare su Messi). E dall'altra parte il francese che occupa il ruolo di coach da un decennio, che è campione del Mondo in carica e accarezza il pensiero di essere il secondo a laurearsi campione del mondo per due edizioni di fila: il primo fu Vittorio Pozzo nel '34 e nel '38. Ma la pressione che Emmanuel Macron e la politica francese fanno sentire sulle spalle assai resistenti di Didier è immensamente più leggera di quella che Benito Mussolini e i gerarchi fascisti poggiavano quotidianamente sulle spalle del ct azzurro.
Ascolto e mano di pietra
Lionel Scaloni è chiamato in patria il "chacarero", il contadino. E non è un soprannome da poco ricordando cosa ha rappresentato, nella storia argentina, il rapporto con la terra e con chi la abitava. Quando giocava invece era soprannominato "il toro" per l'interpretazione molto fisica che dava al suo ruolo di terzino. Anche Deschamps, da giocatore, non era esattamente uno stinco di santo. Mediano-interdittore che entrava duramente con un certo metodo e che divenne in Italia il perno della Juventus capace di vincere la Champions League a maggio del '96: la seconda vinta dai bianconeri dopo quella insanguinata e che nemmeno molti supporters riconoscono, dell'Heysel. Ma entrambi, Scaloni e Deschamps, sono accomunati da una conduzione dello spogliatoio che poggia su due termini: ascolto e mano di pietra. Lionel, prima di inaugurare la serie di 36 vittorie consecutive che si è arrestata solo dopo la sconfitta nella partita inaugurale del Qatar contro l'Arabia Saudita, ha annunciato un progetto per certi versi rischiosissimo: creare un gruppo all'interno del quale Messi potesse inserirsi in modo praticamente indolore se e quando l'avesse deciso.
Deschamps siede da un decennio sulla panchina dei Bleus e ha dimostrato di saper tenere lontano dallo spogliatoio, uno dei più potenzialmente esplosivi al mondo, tutte le tendenze (personali, politiche, sociali) capaci di metterlo in pericolo. Prova ne sia il modo in cui ha gestito (secondo alcuni tirando un profondo respiro di sollievo) l'abbandono per infortunio a inizio mondiale di Karim Benzema, fresco pallone d'oro certo non celebre per la sua capacita' di "omogeneizzarsi" con i compagni: una carezza a lui (compresa la diffusione della voce di un suo possibile ritorno in squadra per l'ultima parte della competizione) e uno sprone per i compagni, di colpo iper-responsabilizzati dall'idea di poter arrivare in fondo anche senza il talento creativo del Real Madrid. E quando, dopo la semifinale, un po' di maretta c'è stata per l'innesto di Thuram e Kolo Muani, Dedé ha risolto tutto con uno sguardo che già quando i giocatori erano ancora in campo ha chiuso la porta ad ogni polemica. Ascolto e fermezza.
Scaloni mette in campo un gioco, mutuato dal suo ispiratore José Pekerman che oggi allena il Venezuela, in cui Messi possa trovare lo spazio ideale per le sue invenzioni. E in cui un attaccante di tradizioni più classiche come Alvarez possa approfittare del gioco costruito da Messi anche quando non tocca palla. Quando Dybala è entrato in campo nella semifinale lo ha fatto quasi in punta dei piedi tentando di inserirsi in questa creazione continua che però, inevitabilmente, può porre qualche problema in difesa quando la spinta creativa cala di intensità. I due gol dell'Olanda sul finire dei tempi regolamentari ne sono la dimostrazione.
Deschamps rovescia il problema partendo da un assunto simile ma differente; Mbappé è in grado di vincere partite praticamente da solo. Con Griezmann che si sacrifica portando qualità in ogni zona del campo è sufficiente che la squadra non commetta errori nella sua metà del campo. Poi il talento farà la sua parte.
Due strategie, uno stesso assunto
Didier e Lionel mettono in campo strategie diverse che poggiano su un assunto di fondo: scelte semplici e produttive. Le stesse scelte che hanno applicato nella loro vita sentimentale: con matrimoni longevi (partito prima quello di Deschamps) che rappresentano uno zoccolo duro su cui costruire anche del buon calcio.
Tecnici capaci di urla e silenzio allo stesso tempo e che potrebbero ritrovarsi di fronte anche in futuro visto che per Deschamps è gia' pronto un rinnovo almeno fino all'Europeo di Germania e per Scaloni è gia' stato allestito un rinnovo "sine die" qualora vinca il Mondiale e lui, naturalmente, accetti. Con un posto al fianco di Menotti e Bilardo nel gotha dei tecnici che hanno portato l'Albiceleste sul tetto del mondo.