AGI - Tifo Argentina e non la Francia perché preferisco chi esporta miti a chi esporta rivoluzioni, e anche quando l’Argentina genera rivoluzionari finiscono nel mito come Ernesto Guevara. E preferisco i miti alle rivoluzioni perché i primi sono irripetibili e le seconde deperibili, perciò lo squallore di Cuba castrista non ha mai sminuito l’icona del Che.
Tifo Argentina per il mito di Diego Armando Maradona, che grazie al calcio fu molte altre cose e grazie anche a molte altre cose è un dio di Napoli che un santo, esclusivamente suo come Gennaro, ce l’aveva già. Tifo Argentina perché El Diez, se non fosse stato il campione del Napoli, non lo avrebbero fischiato ai Mondiali di Italia ’90, e il suo “hijos de puta” l’avrei voluto dire io quando fischiarono l’inno nazionale che recita “o juremos con gloria morir”. Perché la retorica è necessaria, come ai peggiori, ai migliori. Tifo Argentina perché al San Paolo contro l’Italia ero indeciso per quale delle due, ma mio fratello meno problematico come tutti i secondogeniti non ebbe dubbi e esultò per Diego nella curva di quello stadio che oggi porta il suo nome (essendo lui dal 25 novembre 2020 apparentemente morto).
Tifo Argentina perché le scelte mosse a vent’anni da imprecisabili ma netti sentimenti permangono spesso per il resto della vita, sicché quel pomeriggio primaverile dell’82 davanti al consolato argentino per solidarietà con chi lottava alle Isole Malvinas per me non è ancora del tutto finito.
Tifo i sogni che nel calcio quei ragazzi della mia stessa leva, il ’62, non riuscirono a realizzare perché chiamati alla leva militare o morti sotto il coltello dei gurkhas, per i sogni che alcuni di loro invece realizzarono e per il sogno che comunque avremmo realizzato tutti un giorno dell’86 all’Azteca, quando la Mano de Dios si rivalse sugli inglesi confermando che si può vincere mettendo assieme il gol più bello del secolo e quello più irregolare, ed è la stessa cosa che Mozart insegnò ai musicisti e Fellini ai registi. E tifo per chiunque amò quel pomeriggio messicano e non lo considera nemmeno adesso un ricordo ma occasione di cocciuta poesia per tutti i vivi e i morti con cui possiamo ogni momento tornare sui balconi di Napoli, come ha voluto Sorrentino nel film “E’ stata la mano di Dio”.
Tifo Argentina per lo stupore del mio amico Mario Colella, che un sabato mattina da ragazzo s’affacciò al balcone di casa a Bagnoli e vide nel campetto di sotto el Pibe che palleggiava con la squadra perché il Centro Paradiso di Soccavo era inagibile. E Mario ha conservato per sempre le immagini di Maradona all’improvviso là da lui, che mi faccio ogni tanto ripetere di nuovo per ripeterlo a mia volta come adesso. Perché il mondo non era digitale né virtuale né Sky o Dazn semplificavano l’epifania del mito e ci dispiace tanto, a me e Mario, per chi non c’era ancora e non capisce.
Tifo Argentina perché il generale Peron spediva magliette e un pallone di cuoio agli sperduti ragazzini delle Pampas che un giorno ne avrebbero scritto, come Osvaldo Soriano, e per quei ragazzini come Facundo Cabral che intraprese un folle viaggio verso Buenos Aires per incontrare Evita affinché ne adottasse il futuro, e lui avrebbe continuato a raccontarlo tutta la vita fino a una fine incongruente per sbaglio di persona. Perché la morte è vendicativa e ama vincere ai rigori.
Tifo Argentina per Borges, che detestava Evita e Peron ma coltivava l’epica dei gauchos, il periferico entusiasmo norreno, la smania avventurosa di Stevenson, il muro della Recoleta e l’insolenza di Carriego, incoraggiandoci a capire cosa sia raccontare, perché anche il calcio vive davvero quando è raccontato. Tifo per l’Argentina perché gli argentini sanno raccontare il calcio molto meglio dei francesi forse per una ragione: per quel “mi sono divertito” che ha detto Messi dopo la partita con la Croazia. E sospetto che valga pure per chi scrive.
Tifo Argentina per il presuntuoso acquisto di Omar Sivori scugnizzo molto prima di Diego, quando ancora un ciuccio scaramantico faceva il giro di campo prima delle partite, e tifo per Bruno Pesaola il quale decise di farsi napoletano e di restare, lambendo da ex allenatore nelle passeggiate per nostalgia su al Vomero lo stadio Collana di cui fu padrone, e comprese che il senso dell’amicizia è nel piacere di giocare a carte fino al termine della notte e delle sigarette, quando vincere o perdere sono opzioni comparabili per l’affetto che avvolge il tavolo.
Tifo per la memoria del suo superstizioso cappotto cammello (l’altro lo indossava Raffaele Cutolo “che al maxi-processo eravate ‘o cchiù bello”).
Tifo Argentina per la meraviglia che lo zio più schivo ci regalava ogni Natale, mostrando ai bambini sulla carta d’identità che era nato a Rìo Grande de la Patagonia dove la famiglia era emigrata, vantandosi più di questo che del fratello maggiore di sua mamma, Nicola, fondatore di una fabbrica di automobili su cui tanto tempo dopo avrebbe corso, e vinto, Manuel Fangio.
Tifo Argentina perché quando dimenticai una borsa in un locale della Boca mi rincorsero in strada per darmela. Tifo per la meraviglia con cui la prima volta ti ritrovi davanti, fra stradine insignificanti, l’imponenza della Bombonera come un Colosseo improvviso, un colpo di fulmine tardivo in ospedale o l’aggettivo che risolve una poesia durante un sogno che presto dimenticherai.
Tifo Argentina perché non il numero dei Mondiali, dei gol e degli assist di Messi ci fa tifare per lui ma la speranza che il genio naturale e la fatica prevalgano sempre sulle fibre rosse e sulla spocchia delle ossa, come ci hanno insegnato Diego e Bruce Lee beffando con l’improbabile il possibile.
Tifo Argentina perché il generale Manuel Belgrano, paladino della sua indipendenza, dimenticava per combattere le malattie che gli impedivano di scendere da solo da cavallo, a differenza di Garibaldi che sbarcato in Sicilia stentava per l’artrite a montare in sella.
Tifo per Gino Mastrangelo, rotativista del mio vecchio giornale, che da ragazzo talmente assomigliava a Maradona da fungerne da sosia quando el Pibe dovette uscire dalla redazione assediata dai tifosi, e ora ha potuto riabbracciarlo in qualche posto che loro solo conoscono.
Tifo per tutti gli sconosciuti cugini che se ne sono andati a vivere nell’altro emisfero, perché potrei giurare che il tempo è secondario e la lontananza non fa distanza.