AGI - Alla finale dei mondiali di calcio tiferò Francia. Alla base di questa scelta c'è un motivo personale: in quel Paese ho trascorso l'infanzia e l'adolescenza vivendoci per 17 anni. Lì ho frequentato la scuola francese fino al Baccalaureat. Figlio di italiani, non ho la nazionalità francese, anche se avrei potuto ottenerla senza difficoltà all'epoca. Non nascondo di sentirmi per buona metà francese, soprattutto dal punto di vista culturale. In quegli anni a Parigi ho anche giocato a calcio, inseguendo il sogno di diventare un giorno professionista. A 14 anni riuscii a indossare la maglia del Paris-Saint-Germain nelle squadre giovanili, superando una difficile selezione. Giocai per una stagione come centravanti, ma un infortunio e una bocciatura a scuola allontanarono ogni speranza di sfondare.
Detto questo, tiferò per i Bleus perché la Francia è un grande Paese con cui l'Italia, al netto delle rivalità naturali fra vicini, ha un rapporto profondo da oltre 20 secoli. Dall'invasione romana della Gallia con Giulio Cesare a Caterina de' Medici, da Leonardo da Vinci a Pierre Cardin, sono stati moltissimi gli italiani che hanno trovato fortuna oltralpe. Il museo francese della storia dell'immigrazione ha organizzato una bella mostra itinerante (tuttora in corso) dal titolo 'Ciao Italia! Gli immigrati italiani che hanno fatto la Francia'. Un omaggio a chi, lasciando il Belpaese e i propri affetti, ha dato un contributo alla società e alla cultura francesi. L'esposizione considera il periodo 1860-1960, durante il quale milioni di italiani emigrarono in Francia.
L'accoglienza non fu sempre piacevole per i nostri connazionali. Ci furono anche alcuni tristi episodi di xenofobia come quell del 1893 a Aigues-Mortes, dove numerosi immigrati italiani impiegati nelle saline furono aggrediti da lavoratori francesi. Ci furono morti e feriti. Ma la Francia diede anche rifugio a centinaia di migliaia di esuli durante il fascismo e Parigi diventò il centro nevralgico dell'opposizione alla dittatura di Mussolini. Fra gli antifascisti più noti vanno sicuramente ricordati Francesco Saverio Nitti e i fratelli Carlo e Nello Rosselli, assassinati nel 1937 in Normandia da francesi di estrema destra su input di Roma.
La cultura e la creatività italiane, inoltre, hanno sempre avuto un grandissimo successo in Francia. Basti pensare all'apprezzatissima 'Commedia dell'arte' che si diffuse in tutto l'Esagono nel Seicento e nel Settecento con le compagnie teatrali italiane e che influenzò anche Moliere, ma anche alla musica vibrante di Gioacchino Rossini, che nella seconda metà dell'Ottocento trascorse gli ultimi anni della sua vita a Parigi lasciando un marchio indiscutibile. Nel Settecento lo avevano preceduto due illustri veneziani: Carlo Goldoni e Giacomo Casanova. Quest'ultimo, con le sue innumerevoli conquiste femminili raccontate nella sua principale opera, 'Histoire de ma vie', scritta in francese, resta una delle figure italiane più amate dai francesi, noti libertini. Last but not least, ricordo l'enorme apprezzamento per la cucina e la moda italiana, con stilisti come Gianni Versace e Dolce & Gabbana.
Tiferò Francia anche per la sua audacia e la sua storia. Con la Rivoluzione, iniziata nel 1789, i francesi hanno realizzato una impresa unica nella storia dell'umanità. Hanno messo fine alla tirannia decidendo che l'uomo più umile valeva quanto il più potente. Nessuno lo aveva mai fatto prima. Il prezzo fu alto, non solo per il povero Luigi XVI, al quale tagliarono la testa senza pietà, ma anche per gli stessi rivoluzionari, da Danton a Robespierre, passando per Camille Desmoulins, che finirono tutti sotto la ghigliottina, in una guerra politica feroce che sfociò in un bagno di sangue.
In quei valori della Rivoluzione, a cominciare dalla dichiarazione dei Diritti dell'uomo e del cittadino, credeva anche Napoleone e partendo alla conquista dell'Europa voleva diffonderli. In piena seconda guerra mondiale, un altro grande francese, il generale De Gaulle, disse che "esiste un patto di duemila anni tra la grandezza della Francia e la libertà del mondo". In molti questa convinzione può sembrare arroganza. Ma se guardiamo alla storia, non solo alla Rivoluzione, ma anche al pensiero dei filosofi come Voltaire e Rousseau che l'hanno preceduta e in parte generata, una riflessione è inevitabile.
"La Francia ha sempre qualcosa da dire al mondo", ha affermato recentemente il presidente Emmanuel Macron. E' così. E' un Paese consapevole della propria forza secolare, che in passato è stata anche molto violenta. Tuttavia, da un po' di anni non sono pochi i francesi che non sentono più questa 'grandeur', percependo invece una sensazione di declino del proprio Paese, alle prese con problemi economici non indifferenti e con una violenza diffusa, in particolare nelle banlieues, dove milioni di immigrati provenienti da quello che era l'impero coloniale francese si sono installati dalla metà del Novecento in poi senza integrarsi realmente. In quei territori, che si estendono dai quartieri nord di Marsiglia al dipartimento della Seine-Saint-Denis a nord di Parigi, passando per Lione, Tolosa, Nantes e altre decine di migliaia di località, lo Stato non esiste e non entra.
Sono luoghi dove non consegnano nemmeno più la posta perché i fattorini non vogliono (giustamente) rischiare di essere aggrediti. Sono luoghi dove bande di adolescenti si affrontano quotidianamente in una violenza inaudita per il controllo del mercato della droga. Giovanissimi che si scontrano a colpi di Kalashnikov, ma anche con asce da guerra e martelli, uccidendo con una facilità che lascia attoniti.
Infine, tiferò la Francia perché ritengo, da ex calciatore, che sia la squadra più forte del mondo nonostante le numerose assenze pesantissime, in particolare quelle di Pogba, Benzema e Kanté. Non a caso è campione del mondo in carica. Calcisticamente parlando, sono oltre 20 anni, dalla prima coppa del mondo vinta nel 1998, che la Francia sforna campioni incredibili, da Zidane a Mbappé, da Thuram a Griezmann.