“Foggia è stato il mio primo ambiente naturale, a Pescara sono risorto senza che mi fossi mai sentito finito, ma per tante ragioni non solo di campo ho amato la Roma più di ogni altra squadra”. In un momento in cui impazzano biografie e autobiografie di personaggi di sport, da quella di Francesco Totti a quella di Roger Federer, da quella di Bruno Conti e a quella di Marcell Jacobs, poteva mancare quella di uno degli allenatori più amati, più rivoluzionari (in campo e fuori) e meno vincenti della storia del calcio: Zdenek Zeman.
Scritta con Andrea Di Caro, esce per Rizzoli ‘La bellezza non ha prezzo - L’autobiografia’ (pagg. 289 - euro 18,50). Una lettura che per i tifosi giallorossi, così amati e esaltati dall’allenatore boemo (“Ho imparato a vivere la passione dei romanisti giorno dopo giorno, una unione che a un certo punto è stata totale. Ho amato la Roma forse più di ogni altro club e non essere riuscito a vincere mi dispiaciuto moltissimo anche se ritengo che i tifosi abbiano amato più me di chi pure ha alzato trofei”) arriva oggi come una coltellata. Zeman, infatti, è esattamente l’opposto di Mourinho. Se il portoghese esprime un gioco non appariscente, difensivistico, utilitaristico al massimo - e ultimamente anche molto brutto - ma capace di conquistare trofei (con lui la Roma ha vinto lo scorso anno la sua prima coppa europea dopo sessant’anni), il gioco di Zeman era spumeggiante, bellissimo, folle, capace di ottenere risultati mirabolanti così come di clamorose sconfitte.
Un gioco, comunque, che i tifosi - quelli della Roma come quelli della Lazio, del Foggia, del Lecce, del Pescara - ricordano con nostalgia e hanno nel cuore. Così come il suo modulo intoccabile 4-3-3. Per i tifosi della Roma, dunque, Mourinho, il cui nome non compare mai nel libro ma per il quale Zeman come ha già avuto modo di dire in diverse occasioni non nutre alcuna stima professionale, è il convitato di pietra e il paragone tra le due filosofie di gioco è impietoso.
Ripercorrendo la carriera di allenatore del tecnico boemo, scappato a 18 anni dalla Repubblica ceca, allora Cecoslovacchia, sotto il dominio sovietico e cresciuto a Palermo dallo ‘zio Cesto’, Cestmir Vycpalek, bandiera della Juventus degli anni ‘40 e ‘50 e successivamente grande allenatore bianconero, il libro racconta la magnifica avventura di un uomo sempre coerente e fedele a se stesso la cui filosofia, mai abiurata, si sintetizza in queste semplici frasi: “Possedere una mentalità vincente non significa vincere sempre ma giocare sempre per vincere” e, ancora: “Non importa quanti gol prendi se ne fai uno in più dell’avversario”.
Nel libro Zeman ripercorre le tappe che lo hanno portato, dal 1983 quando ha iniziato ad allenare il Licata in serie C2 al 2021 quando ha concluso la sua quarta esperienza con il Foggia in serie C, a segnare in maniera indelebile la storia del calcio italiano in cui hai imposto un sistema di gioco che caratterizzato tutte le sue squadre che è stato sintetizzato egregiamente dal termine 'Zemanlandia': hanno segnato valanghe di gol, fatto innamorare e disperare i tifosi e inevitabilmente sono arrivate a un passo dal successo. Bloccate spesso da arbitraggi palesemente contrari, figli della guerra tra un sistema corrotto (poi salito alla ribalta della cronaca sportiva con l’inchiesta di Calciopoli e quella sul doping) e il tecnico, unico a denunciarlo e unico ad averne pagato le conseguenze, insieme alle squadre che ha allenato… Su tutta la Roma di Franco Sensi.
Ed è proprio la Roma, che Zeman confessa di amare e di aver amato più di qualsiasi altro club, lui cresciuto nel mito della Juventus di ‘zio Cesto’ (questa dichiarazione, peraltro già nota, ha scatenato delle polemiche perché la guerra al Sistema è stata soprattutto contro i dirigenti della Juventus), che ha trovato nella capitale prima sponda biancoceleste e poi in maniera indelebile sponda giallorossa la sua massima realizzazione professionale e umana. Grande spettacolo, grande mentalità, ma anche il fallimento dell’obiettivo principale a causa di tanti torti arbitrali.
Alla fine il Sistema avrà la meglio anche sulle decisioni di un uomo serio e onesto come Franco Sensi, ‘costretto’ probabilmente a mandar via Zeman un mese dopo averlo confermato per un’altra stagione. Non a caso, con l’arrivo di Capello, due anni dopo la sua Roma riuscirà a vincere di nuovo lo scudetto dopo quasi vent’anni. Zeman scrive che in una discussione avuta con Sensi espresse la sua delusione dicendogli: “Sono scelte suggerite da altri, è una coltellata chi non mi sarei mai aspettato da lei”. Una rivelazione che ha fatto arrabbiare la figlia del presidente dell’ultimo scudetto giallorosso, Rosella.
In ‘La bellezza non ha prezzo’, titolo voluto in contrapposizione a quello pensato in precedenza - il prezzo della bellezza - proprio per evitare che si potesse pensare a recriminazioni (“Rifarei tutto, si può essere vincenti senza trofei in bacheca, ma per aver migliorato i propri giocatori. E il grazie della gente per me vale più di 100 scudetti”) racconta ovviamente anche del Foggia dei miracoli allenato dal 1989 al 1994 che portò in serie A e diede spettacolo e produsse una quantità impressionante di campioni. Racconta poi di altre squadre meraviglia allenate da Zeman: dalla Lazio di Sergio Cragnotti alla Roma di Franco Sensi, squadre che plasmò e che appena andò via lui vinceranno lo scudetto, dal Lecce neopromosso al Pescara dove lanciò i ventenni Insigne, Immobile e Verratti.
Ma parla pure della battaglia che ha combattuto per primo - e per anni unico - per un calcio pulito, senza farmaci, senza personaggi ambigui e senza corruzione. Zeman è diventato un simbolo e un modello, ma ha pagato cara la sua battaglia: le grandi squadre non lo hanno mai più chiamato per evitare di essere penalizzate come era successo alla Roma. Eppure, dovunque è andato, ha lasciato un ricordo magnifico, non è a caso è tornato più volte in piazze dove aveva regalato spettacolo: Foggia, Roma, Pescara.
Il libro è ricco di aneddoti, ricordi, nomi di calciatori diventati leggende. C’è un capitolo dedicato a Francesco Totti che Zeman definisce in quattro parole: “Totti è il calcio” (ne userà due per Marco Verratti: “Sa giocare”). Un capitolo in cui ricorda la sua seconda volta alla Roma, nel 2012, chiamato probabilmente per costringere Totti al ritiro - invece fu una stagione in cui il capitano giallorosso ha fornito una grande continuità di rendimento di prestazioni e una prova di professionalità incredibile - e dopo di lui, con il ritorno di Spalletti, l’obiettivo della dirigenza giallorossa con molta fatica si è comunque realizzato. Ciononostante Zeman non ha paura a definire “una mascalzonata” quella fatta da tecnico toscano di non concedere durante l’ultima partita a San Siro della Roma col Milan neppure la passerella finale a Totti: un’opinione netta come nel suo stile.
Storico 'incontro' tra Frengo-Albanese e Zeman
Alla fine il libro Zeman ricorda l’accusa che gli hanno mosso in tanti, soprattutto i suoi nemici e detrattori, di non aver vinto niente. Lui risponde: “Non è vero che vince solo chi arriva primo. Se hai una squadra in una serie inferiore e sei promosso, hai vinto. Se hai una squadra da salvare e la salvi, hai vinto. Se hai un giocatore con dei limiti e lo migliori fino a portarlo in nazionale, hai vinto. Se i tuoi ragazzi ti ricordano come un maestro in grado non solo di insegnare loro calcio ma anche di trasmettere i valori positivi, hai vinto. Se hai permesso alle tue società di unire i risultati e bilanci sani e sostenibili, grazie a mercati in entrata intelligenti e cessioni vantaggiose, hai vinto. Se sei stato richiamato a lavorare in posti dove avevi lasciato il segno, hai vinto”.
E, infine, forse la cosa più importante per Zeman: “Se il pubblico alla fine delle partite si è divertito e ha applaudito anche dopo le sconfitte, hai vinto. Se a distanza di anni uomini e donne di tutte le età e squadre, anche quelle che non hai mai allenato, ancora ti fermano per strada per stringerti la mano, chiederti una foto, ringraziarti per le emozioni che hai regalato in campo e per ciò che hai detto fuori battendoti per un calcio pulito, non è questo forse è il trofeo più bello di tutti? E a me lo consegnano ogni giorno”.