"Il calcio non vuole preferenze, ma se ripartirà il Paese perché non può ripartire anche il calcio?" È questa la domanda rompicapo che sta infiammando le linee telefoniche e scaldando le orecchie ai vertici del calcio italiano, ai presidenti delle società e alle associazioni di settore. Le novità nel mondo del pallone sono all'ordine dell'ora ma la decisione toccherà solo e solamente al Governo.
Fino al 3 maggio l'Italia è in lockdown, confinata per coronavirus, la malattia che nelle ore delle prese di posizione da parte di Federcalcio, Lega di A, Associazioni calciatori, allenatori e televisioni, miete ancora centinaia di vittime. Oggi la nuova puntata delle lunga telenovela è arrivata a seguito delle parole del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Il numero uno dello sport italiano parlando al Corriere dello Sport ha descritto una situazione di "troppa confusione, di dibattito fortemente divisivo" perché "manca un piano preciso, chiaro, praticabile e convincente", ammonendo che "così non si va da nessuna parte e con una conflittualità che danneggia tutte le parti".
Accusa forte 'condita' da una considerazione che ha non poco infastidito la Lega: "Le televisioni che tirano fuori 1 miliardo e quattrocento milioni non hanno nemmeno un pezzo di carta della Lega sulla base del quale sviluppare il tema dell'immediato".
Parole forti a cui ha fatto seguito la secca risposta da parte della Lega di Serie A che ha accusato il presidente del Coni Malagò di "leggerezza e ingerenza" sostenendo che l'organo che gestisce il campionato di Serie A "dall'inizio della situazione di emergenza legata all'impatto del Covid-19 sul calcio, è in costante contatto con i broadcaster titolari dei diritti tv. Tali rapporti sono peraltro regolati da chiare previsioni contrattuali".
Inoltre, continua la Lega di Serie A, siamo "in continuo aggiornamento con la Figc e le altre componenti del sistema calcio per vagliare tutte le opzioni possibili, proseguendo allo stesso modo il dialogo con le altre Leghe europee, l'Eca, l'Uefa e la Fifa". Al di là delle schermaglie e delle accuse, il punto è uno solo: fino a quando il Governo non accenderà il semaforo verde per fissare la ripartenza si brancolerà nel campo delle ipotesi.
Nei corridoi della Lega di Serie A ci sono una serie di buste da aprire con all'interno date, proposte e soluzioni ma tutto dipenderà da quando il calcio potrà ripartire: il 15, il 28, il 31 maggio o a giugno? Nessuno lo sa. Il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha detto che "si lavora senza fretta, ma senza sosta per farci trovare pronti quando le istituzioni di daranno il via".
Al lavoro c'è il Comitato medico scientifico della Figc che sta predisponendo il protocollo per la 'fase 2' da presentare ai ministri Roberto Speranza della Salute, e Vincenzo Spadafora dello Sport. Di certo al momento c'è davvero poco se non la disputata delle partite a 'porte chiuse'. Viene ipotizzata la ripartenza da stadi fuori dalle zone die grandi contagi, come Perugia, Frosinone, Roma o nel Meridione con più di qualche faccia imbronciata.
L'assenza dei tifosi sarà comunque un danno per le società, dalla biglietteria al merchandising, dalle consumazioni mancate alle visite mancate al museo del club. Se la situazione epidemiologica in Italia sarà in progressivo miglioramento, dal 4 maggio inizieranno gli allenamenti. La prima manifestazione potrebbe essere la Coppa Italia con le due semifinali di ritorno, Juventus-Milan e Napoli-Inter e, possibile, finale il 2 giugno, Festa della Repubblica, all'Olimpico di Roma. In contemporanea dovrebbe ripartire anche il campionato di serie A. Resta aperto il discorso come e se ripartiranno anche serie B e C.