“La grande delusione, l’amarezza di vedere tutto sfumare per l’obnubilamento improvviso e sicuramente penoso di due protagonisti, Conti e Graziani. Gli inglesi, che la fortuna ha poi premiato ad usura, avevano accennato a regalarci tutto con un comico errore del giovane Nicol, primo rigorista designato”. La penna è quella indimenticabile di Gianni Brera. Il ricordo, vecchio di quasi 34 anni, è quello dei rigori della finale di Champions League tra Roma e Liverpool che arrisero alla squadra inglese e condannarono quella allenata da Nils Liedholm. Rigori che sono diventati famosi anche per il rifiuto di uno dei protagonisti di quella Roma, Falcao, che chiese di non essere incluso nella cinquina di chi avrebbe scritto, nel bene o nel male, la storia del club. Una scelta che, negli anni, è stata romanzata in mille modi, dimenticata e poi ritirata fuori dai cassetti dei ricordi in occasione dei vari anniversari di quella storica partita o di fronte ad altri errori clamorosi. Oggi, per fortuna, viene ripescata per un motivo più bello: la sfida che questa sera, ad Anfield, nel primo atto delle semifinali della massima competizione calcistica europea, vede scontrarsi ancora Liverpool e Roma.
Le parole e la difesa di Falcao
È stato lo stesso Paulo Roberto Falcão, classe 1953, a svelare i motivi che lo portarono a fare un passo indietro dopo 120 minuti di grande fatica. Non fu una partita fortunata quella del giocatore brasiliano che, per i tifosi, sarebbe diventato, a dispetto di ogni iniziale scetticismo, “l’ottavo Re di Roma”. Ma durante quella finale, in campo, si vide correre per il prato il suo gemello scarso. Quello che a Roma avevano visto pochissime volte. La sua fu una prestazione talmente opaca che Gianni Mura, sulle pagine dell’edizione di Repubblica del primo aprile 1984, la raccontò così: “A centrocampo i rossi sono in superiorità numerica e un grosso tipo si sta rivelando Whelan, che si trova dappertutto, come il miglior Falcao, mentre il miglior Falcao, è altrove”. Assente ingiustificato nella partita più importante della storia recente del club.
Ma Falcao quei giorni non stava bene. Era reduce da un infortunio piuttosto grave e, se scese in campo, fu grazie anche alle iniezioni fatte prima del calcio d’inizio. Una cura che terminò il suo effetto prima dell’inizio dei supplementari e che portò alla famosa rinuncia. Una ricostruzione che lo stesso giocatore ha tirato fuori in una recente intervista, al Globo: “Non tirai il rigore perché sentivo dolore al ginocchio, per colpa di un infortunio. Giocai grazie ad una iniezione, solo che la partita durò 120 minuti e io non ce la facevo più. Per questo parlai con Liedholm e gli dissi che non sarei riuscito a calciare quel rigore”.
La versione di Graziani
Non tutti però hanno accettato la versione di Falcao. In un’intervista al Tempo del 2015, Francesco “Ciccio” Graziani, parlò di una vera fuga dalle responsabilità da parte del compagno di squadra: "Quando un giocatore non se la sente bisogna accettarlo. Ma i grandi campioni devono sapersi prendere le proprie responsabilità, non possono fuggire. In quell’occasione Falcao non si è comportato da campione”. L’unico rimprovero da fare a un professionista serio come pochi: “Professionista serio e un giocatore meraviglioso. Ho visto solo due giocatori con quell’intelligenza: Rivera e Falcao. Aveva gli occhi di dietro, l’unico rimprovero che gli posso fare è che quando scegliemmo i tiratori Paulo disse di non essere un rigorista. In alcuni momenti importanti, anche se non sei un rigorista, è una responsabilità che ti devi sentire”.
La danza folle sulla linea di porta
L’altro protagonista di quella serie di rigori fu indubbiamente il portiere zimbabwese del Liverpool, Bruce Grobbelaar. E non certamente per le sue parate visto che i due errori dal dischetto della Roma furono palloni calciati sopra la traversa. L’estremo difensore dei reds, in una performance alquanto discutibile (ma sostituite a piacere l’aggettivo in questione), decise di recitare la parte del matto pur di distrarre i calciatori avversari. Strizzò l’occhio ai fotografi disposti intorno alla porta, morse le corde della rete della porta dell’Olimpico e improvvisò una danza scordinata sulla linea in attesa del fischio dell’arbitro. Quella che, ancora oggi, viene chiamata “spaghetti dance”. Una performance che, come ha raccontato lo stesso Grobbelaar al sito TUTTOmercatoWEB, gli vale ancora il veto di entrata allo stadio capitolino: “Volevo entrare all'Olimpico, calpestare quel terreno di gioco, riposizionarmi nella porta che ho difeso durante quella lotteria dei rigori. Volevo che mia moglie vedesse dove avevo conquistato la Coppa dei Campioni. Ma non hanno voluto farmi entrare, ero praticamente in black list. Incredibile, vero?”. Non proprio visto che il portiere è diventato anche membro onorario di un fan club della Lazio in Sudafrica. Questioni di rivalità, orgoglio e gesti al limite della sportività e del buon senso. Roma è questa. Caro Bruce: “stacce”.
La sequela famosa dei rigori
La prima cosa da ricordare è che non c’erano stati precedenti. Mai la Coppa dei Campioni si era decisa dagli undici metri. I duelli si erano sempre consumati prima e mai in un duello all’ultimo tiro e all’ultimo respiro. La Roma gioca in caso, è vero, ma non può contare sui suoi rigoristi. Maldera è squalificato. Non c’è Pruzzo e neanche Cerezo, fermato dai crampi e sostituito a partita in corso. E anche Falcao, come detto, rifiuta. La seconda cosa, invece, è che tutto si è giocato tra i piedi dei tiratori. Tre errori in tutto. Tre palloni calciati verso la curva. Guantoni intonsi per entrambi i portieri.
Il primo è Stephen Nicol, difensore e riserva, non certo una delle punte di diamante della squadra inglese. Il suo errore illude tutto lo stadio che esulta al gol del compianto capitano Agostino Di Bartolomei. Phil Neal, invece, di esperienza ne ha da vendere e il suo è un rigore perfetto. Poi è il turno di Bruno Conti che, sbagliando, riporta tutto in discussione. Souness, Righetti e Rush mantengono l’equilibrio che si spezza subito dopo. È Graziani a colpire la parte alta della traversa e ad ammutolire i tifosi. Il match point è sui piedi di Alan Kennedy, trentenne difensore, che con freddezza spiazza Tancredi.
È la fine di un sogno per un intero popolo. Una delusione che, ancora una volta, con parole profetiche, Gianni Brera descrisse così: “A noi, la consolazione, ahimè, abbastanza magra, di sentire i tifosi romani invocare la loro squadra con un amore e una devozione superiori all’amarezza. Con dietro questa gente, una società non può davvero fallire. E la Roma, entrata con pieno diritto fra le grandi d’Europa, saprà immancabilmente confermare questo augurio”. Quasi 34 anni dopo la nuova sfida. Doppia. Con la speranza di una qualificazione che possa arrivare prima di una lotteria che evoca strani, e brutti, ricordi.