A lla fine Messi si toglie dal braccio la fascia azzurra da capitano, sconsolato. Pareggio. Con l'Islanda, 1-1 di fronte al mondo e nello stadio più grande di tutte le Russie. Non lo avrebbe mai detto, lui. Ma solo lui, perchè anche se questo è il primo Mondiale degli islandesi, gli intenditori sapevano che la sorpresa, oggi, poteva ben scapparci.
Due anni fa l’Europa si accorse, nell’anno della Brexit, di avere il suo cuore ancora più a ovest, nel bel mezzo delle acque gelide dell’Atlantico, e la voce gorgogliante di un geyser che esplode in mezzo alla natura. I feel good, e pazienza se con la Francia è finita 5-2 ai quarti. L’Islanda la storia l’aveva già scritta, in quegli Europei, umiliando l’Inghilterra, regolando l’Austria-Ungheria in due match separati e pareggiando all’esordio con il Portogallo di Cristiano Ronaldo, che alla fine avrebbe avuto il successo finale.
Non c’è vergogna a perdere, dopo tanta gloria. Il quesito, semmai, è come sia stato possibile per un’isola piccola e lontana, popolata quanto mezzo quartiere di Roma o quanto un paio di province italiane di quelle medio-piccole, tener testa ai bianchi, ai bleus, financo alle truppe addestratissime guidare da CR7.
I numeri non aiutano certo la comprensione. Questi, infatti, i crudi dati statistici.
- Denominazione ufficiale della Federazione: Knattspyrnusamband Islands
- Anno di fondazione: 1947
- Prima partita: 17 luglio 1946, Islanda-Danimarca, 0-3
- Albo d'oro: nessun titolo vinto
- Formula del Campionato: 10 squadre, girone unico
- Club: 127 società, 560 squadre
- Giocatori tesserati: 4800 uomini, 700 donne
- Arbitri: 934 uomini, 98 donne
- Stadi principali: Laugardal, Reykjavík (14.000 spettatori).
- Abitanti: 334.252.
Fermi tutti: 560 squadre, mille arbitri, cinquemila tesserati per un Paese che al massimo ha un solo stadio da 14.000 posti. C’è qualcosa che non torna. O che torna benissimo.
L’Islanda, ovvero la redenzione attraverso il nobile gioco del calcio
Tutto infatti inizia qualche anno fa, nel buio di una notte artica piena di depressioni e di ebrezze alcoliche. Purtroppo, anche un alto tasso di suicidi. Ma cosa stava succedendo alla gioventù islandese, tra le più ricche del Continente, garantite da un welfare scandinavo e dai proventi doverosamente redistribuiti tra tutti delle risorse economiche nazionali? Ragazzi così dovrebbero aver avuto come unica preoccupazione quella di aspettare una volta all’anno, all’equinozio d’estate, la tradizionale Notte delle Vergini, in cui tradizionalmente si festeggia la natura nel modo più scandinavo possibile.
E invece quella gioventù malata consumava alcol, tabacco e altra robaccia, presa da un vortice autodistruttivo. Nessuno sapeva come fare, per rimediare. Nessuno, fino a quando non è apparsa alla mente delle pubbliche autorità l’illuminazione del Grande Gioco del Calcio.
Il calcio tiene all’aria aperta, e non in birreria. Il calcio impegna energie, impone disciplina, dà soddisfazione per le vittorie, crea gruppo negli spogliatoi e solidarietà tra coetanei. Erano anni, esattamente dai primordi dello sport in Inghilterra, che nessuno ci rifletteva su. E invece in Islanda lo hanno fatto.
Venne scelta la strada della collaborazione tra scuole e famiglie, poi seguirono le squadre, i club, i tornei, il campionato nazionale dove in pochi anni esordì una nuova generazione di ragazzi aitanti e biondissimi che oltre a correre sapevano anche accarezzare la palla con i loro sapienti piedoni.
Poi quei ragazzi andarono in giro per il mondo a fare esperienza (non a farsi le ossa, erano già sufficientemente dolicocefali per conto loro), e finirono chi al Manchester, chi al Liverpool. Alla fine tornarono, e giocarono in nazionale. Quella che, mentre l’Inghilterra diceva no all’Europa, al centro dell’Europa ci portava l’Islanda: così piccola, così grande. Da far paura anche a Messi e Higuain nella partita di esordio al primo mondiale della storia nazionale.
E le statistiche adesso parlano chiaro: i consumi di alcol e l’abuso di stupefacenti sono ai minimi in Europa. In fondo, dietro il rigore che Halgrisson ha parato alla Pulce, c’è un grande esperimento sociale.