"Perché non è possibile battere il club più ricco? Io non ho mai visto una borsa piena di soldi segnare un gol”. I “Lancieri” dell’Ajax si identificano più che mai nel nome, nelle idee, di Johan Cruijff, per rievocare l’impresa di martedì a Madrid. Come non affiancare lo storico 1-4 del Santiago Bernabeu alla mitica maglia numero 14 del “Pelé bianco”? Come non rivedere lo spirito garibaldino, la freschezza, la bellezza, la velocità, la fantasia della squadra olandese di oggi nel calcio totale inventato cinquant’anni fa dal suo profeta e coronato dai tre trionfi consecutivi di Coppa Campioni del 70-73?
Come non ritrovare la stessa marcata tendenza all’emigrazione dei pezzi pregiati, per far cassa e garantire il futuro alla società di Amsterdam? Dopo l’addio precocissimo del 19enne attaccante Justin Kluivert, passato in estate alla Roma per 17.25 milioni di euro, il 21enne centrocampista Frenkie de Jong andrà al Barcellona per 75 milioni di euro. E sarà presto raggiunto dal 19enne difensore Matthijs de Ligt, anche lui cresciuto 8 anni nella scuola-calcio più prolifica di talenti. Nel segno di tecnica, fisico & tradizione.
Inutilmente, in estate, alcuni grandi vecchi, oggi dirigenti della società, come Overmas e Van der Saar, hanno proposto un docu-film - tanto di moda fra i giovani – per proporre ai pulcini d’oro di rinunciare per qualche anno agli ingaggi milionari con l’obiettivo di vincere insieme, in casa, sollecitandoli a gemellaggi affascinanti: il portierone Edwin van der Sar (oggi capo esecutivo della società) col farfalleggiante numero 1, Andre Onana, il totem Zlatan Ibrahimovic con la punta Kasper Dolberg, Kluivert padre con Kluivert figlio, Cjristiean Eriksen con De Jong, il leggendario vikingo della difesa Barry Hulshoff con de Ligt. Del resto, Cruijff, sia pure a 27 anni e dopo a ver vinto 17 trofei in casa, nel 1973 sposò il Barcellona, aprendo la via di fuga di altri talenti purissimi: Johan Neeskens, Marco van Basten, Frank Rijkaard, Clarence Seedorf, Edgar Davids, Kluivert, Wesley Sneijder, Ibrahimovic, Jan Vertonghen.
Nessun’altra società può vantare simili prodotti, con l’86% degli allievi della “De Toekomst” che a 16 anni diventano calciatori professionisti. Accelerando i tempi in modo vertiginoso anche per quanto riguarda l’ingresso in prima squadra: prima ci arrivavano a 23-24 anni, ora, visto che a 20-21 già se ne vanno, sono arruolati a 19.
“Noi non abbiamo leggende, noi le creiamo”, dice orgoglioso Van der Sar, che predica la teoria del “dare qualcosa indietro alla società”. Come i 566 milioni di euro di plusvalenze incassati dall’Ajax dal 2001 grazie proprio ai calciatori fatti in casa, con 90 milioni di profitti solo nell’ultimo quinquennio, a fronte in un fatturato di appena 100 milioni a stagione (molto inferiore a quelli delle big del nostro calcio). Un sistema talmente vincente da allargarsi in Cina dal novembre 2017, per cinque anni, con una accademia calcistica modello Ajax a Guangzhou, ed acquisire il 51% di una squadra a Cape Town, in Sud Africa.
Tutto questo per abbellire continuamente, con un investimento di 220 milioni (dal 1993) la casa, cioè lo stadio – la Johan Cruijff Artena - da 54 mila posti, con 40mila abbonati, aree vip, e quindi entrate per 25 milioni l’anno. Indispensabili, visti gli appena 10 milioni dei diritti tv. Come i 46 di ricavi dell’area commercial. I costi operativi sono di 100 milioni, 55 sono per il personale, cioè i 448 dipendenti (127 giocatori, 111 fra tecnici e medici), più i 56 milioni per la rosa (26,5 per gli ingaggi dei calciatori). La società è quotata in Borsa e, grazie all’impresa di Madrid, il titolo AFC Ajax è salito di quasi 8 punti percentuali, con un picco a 17 euro, nuovo massimo storico.
Tutto all’Ajax è nuovo e moderno, come i giovani calciatori, come il gioco, come lo stadio con un sistema di alimentazione energetica di pannelli solari ma, insieme, è vecchio, come la tradizione dei suoi campioni e come quel logo della società che richiama Aiace Telamonio. Il coraggioso combattente che si suicidò per la vergogna quando si accorse di aver ucciso nella notte un intero gregge anziché i compagni greci nell’assedio di Troia. Stavolta, la notte di battaglia è finita in gloria.