AGI - Sono passate meno di 24 ore ma l'adrenalina è ancora alta per l'Italbasket di Meo Sacchetti che, eliminando la Serbia e rovesciando ogni pronostico, ha staccato un pass olimpico per Tokyo 2020 atteso da 17 anni.
Allora il contesto era quello di Atene e la squadra girava intorno a campioni come Pozzecco, Basile, Soragna, Galanda e Marconato. La cavalcata di quel "dream team" tricolore in terra ellenica fu sontuosa e venne interrotta solo dalla 'generacion dorada' argentina, quella di Ginobili, Scola, Nocioni, Sconochini, Oberto, Delfino (e a non citarli tutti si fa comunque un torto) che in finale si sarebbero dimostrati troppo forti per chiunque.
Ora i nomi degli Azzurri sono cambiati, fanno meno rumore. Rispondono a quelli di Nico Mannion, Stefano Tonut, Simone Fontecchio, Achille Polonara e Nicolò Melli. Con la speranza, lo si saprà entro domani, ultimo giorno per presentare le convocazioni per Tokyo 2020, di portare in Giappone anche Danilo Gallinari che, con i suoi Atlanta Hawks, è arrivato a due partite dal giocarsi la finale Nba.
Gianni Petrucci, presidente della Federbasket, ha aperto uno spiraglio "a tutti" ma ha lasciato il giusto onere della decisione all'allenatore, Meo Sacchetti, esonerato in stagione dalla Fortitudo Bologna e ora scatenato, tra messaggi social e balli improvvisati, nel prendersi quella che per tutti è la "sua rivincita".
Difficilissimo, però, pensare a una (ri)chiamata per Luigi Datome e Marco Belinelli, tornati in Italia quest'anno a Milano e Bologna, ma reduci da una stagione piena di partite, acciacchi e fatiche. L'età, per di più, si fa sentire e il loro 'no' al pre-olimpico si dovrebbe estendere, a meno di grandi sorprese, anche per i Giochi veri e propri. E, forse, visto il grande lavoro di questo gruppo, ringiovanito e ambizioso, è più giusto così.
L'italia, spavalda e incosciente, è in una fase di passaggio generazionale. I grandi vecchi, quelli approdati nell'ultimo decennio dall'altra parte dell'oceano, stanno vivendo ormai la fase finale della loro carriera e dietro di loro scalpitano alcuni talenti che già ieri, a Belgrado, hanno dimostrato di poterne raccogliere l'eredità. Anzi, in un certo senso hanno già fatto meglio.
Alle varie spedizioni azzurre degli ultimi anni non mancava certo il talento ma, inutile negarlo, le aspettative non sono mai state trasformate in risultati concreti. A partire dal preolimpico del 2016 e la sconfitta amara, a Torino, contro la Croazia che negò agli Azzurri il viaggio verso Rio de Janeiro. Quella cocente delusione è stata oggi ampiamente riscattata anche se con protagonisti diversi.
Una squadra 'nuova'
Primo fra tutti Nico Mannion. Il rosso 'pel di carota' italoamericano, playmaker dei Golden State Warriors, è reduce dalla sua prima stagione in Nba, tra alti e bassi, fugaci presenze, sprazzi di buona 'stoffa' e partite in G-League (la Lega di sviluppo statunitense). Classe 2001, nato a Siena da un ex giocatore americano e una pallavolista italiana, Nico ha avuto la possibilità di allenarsi con Stephen Curry, una delle stelle del basket mondiale, e la crescita è sotto gli occhi di tutti.
All'Italia, negli ultimi anni, è mancato proprio forse un playmaker (point-guard, per essere precisi in gergo) capace di creare dal palleggio e di dare ritmo all squadra. Con Mannion e Pajola, il suo sostituto naturale in questa Nazionale, l'equazione potrebbe essere risolta.
Il talento bolognese, classe 1999, fresco campione d'Italia con la Virtus Bologna, è un difensore sopraffino, un grande atleta e, se dovesse ancora migliorare il tiro da fuori, come fatto negli primi mesi del 2021, potrebbe diventare un vero "crac" per il basket europeo.
Determinanti, in Spagna e Germania, lo sono già Achille Polonara e Simone Fontecchio. La loro evoluzione, oltre che tecnica, è stata soprattutto mentale: giocano con una fiducia incrollabile e il loro tiro è diventato assai affidabile. Una doppia dimensione, quella fisica e realizzativa, che concede all'Italia di avere un ventaglio di opzioni offensive molto varie e interessanti.
Accanto a loro si innesta la faccia tosta di Stefano Tonut, guardia della Reyer Venezia, eletto miglior giocatore dell'ultimo campionato di Serie A. Petto largo, spalle solide, elevazione e un tiro da tre a tratti devastante. Il suo obiettivo è quello di giocare in Euroleague e non è detto che non si realizzi a brevissimo.
Chioccia di tutti è Nicolò Melli, reduce da due stagioni in Nba piene di ombre, con poche partite giocate e molta frustrazione. Il suo ritorno in Europa è quasi scontato, così come le sue doti, al sua intelligenza cestitica e il ruolo di leader ai prossimi Giochi Olimpici, con o senza Gallinari.
Completa il quadro una panchina composta da grandi "role player", come si chiamerebbero in America. Giocatori con un ruolo ben definito che sanno cosa fare quando vengono chiamati in causa sul parquet: Tessitori, Ricci, Abass, Moraschini, Spissu e Vitali. Tutti ottimi soldati. Uno di loro dovrà probabilmente fare spazio a Gallinari e non sarà una scelta certamente facile per Sacchetti.
Tutto questo in attesa di Paolo Banchero, classe 2002, americano di seconda generazione appena scelto da uno dei più prestigiosi college americani, Duke University, per il suo anno al College. Gli esperti e scout Nba lo collocano già tra le prime scelte del draft del 2022 e predicono per lui un grande futuro in Nba.
Banchero, 18 anni, nonni liguri emigrati dall'altra parte del mondo in cerca di fortuna, ha già promesso amore all'Italia ("ci vediamo presto!") e alla sua Nazionale. Ma c'è tempo per vederlo con la maglia azzurra perché, tra esattamente 20 giorni, inizia una grande avventura olimpica contro Germania, Australia e Nigeria. L'inizio di un nuovo sogno che, dopo l'impresa di ieri, è tutt'altro che una chimera.