F igli d’arte: da Gallinari a Moretti, dalla Nba alla Ncaa, i ragazzi italiani stanno facendo la storia anche nel basket più famoso ed importante. Quello dei campionati Doc, dai professionisti al college. “Gallo”, Danilo, figlio di Vittorio, ex super-difensore della Grande Milano anni 80, trascina i Los Angeles Clippers nei playoff Nba, “Moro”, Davide, figlio di Paolo, guardia-ala gran tiratore anche della Virtus Bologna, porta per la prima volta la bandiera italiana e la Texas Tech alle Final Four Ncaa, con la sua maglia numero 25. E lo fa da protagonista, sabato, alla Honda Arena di Anaheim di Los Angeles dove i Red Raiders hanno battuto i Zags di Gonzaga University per 75-69 nella finale West Regional. Perché, sul 58-58, dopo un canestro di Mooney, il play-guardia italiano di 1.90 per 80 chili ha infilato il tiro da tre per il 63-58 e poi anche un altro a un minuto e 45 dalla fine, sul 63-60, firmando il +6 decisivo. E quindi ha stoppato definitivamente la rimonta degli avversari realizzando tutti e due i tiri liberi, a -2, quando mancavano 12 secondi dalla fine. Siglando il successo due volte storico con 8 punti negli ultimi quattro, fondamentali, minuti, 12 complessivi (2/5 da 2, 2/4 da 3, 2/2 ai liberi, 2 rimbalzi, 2 assist, 2 recuperi e 5 palle perse.
Per il bolognese che ha compiuto 21 anni il 25 marzo, si tratta davvero di una scommessa vinta. Dopo i problemi da Freshman dell’anno scorso al college, e tanto, tantissimo, lavoro. Come ripete lui stesso a ogni intervista, sottolineando come sia riuscito ad amalgamarsi con la squadra, e prima ancora con usi e costumi di un altro paese, e come abbia migliorato il fisico in palestra con un’accurata, insistita, applicazione. Perciò, oggi, passa da una sola volta in quintetto in 37 partite con 12 minuti di media (3.5 punti, 38.2% da due, 31.7 da tre, 85.75 ai liberi) dell’anno scorso al posto di titolare in 35 partite di questa stagione.
E conquista i compagni, l’allenatore e l’America tutta con la sua faccia da bravo ragazzo e quella parola, Home, Casa, spesso abusata e anche impropria nella società statunitense, che invece in Italia è – per fortuna - ancora così radicata ed importante. E il suo commosso abbraccio all’amatissimo fratello Niccolò (14enne che gioca a Bologna San Lazzaro), a mamma Mariolina e papà Paolo che si ritrova all’improvviso, a sorpresa, alla riunione della squadra, come regalo della società, impazza sul web lanciando la semifinale NCAA del 6 aprile a Minneapolis all’Us Bank Stadium, stadio di football da 70 mila posti. Contro la vincente della sfida tra Duke (grande favorita al titolo) e Michigan State.
Davide non è una meteora, non esplode all’improvviso, ha un enorme potenziale, è un prospetto interessante per i Draft Nba. Come lo definiscono gli stessi americani: ”Ha un QI da basket straordinario e una mentalità difensiva grintosa, il suo gioco è stato un catalizzatore per il Texas Tech e una delle causa del dominio di questa stagione”. Per loro, è il secondo violino della squadra, dopo la star Jarrett Culver, un protagonista della regular season della Big XII, una delle conference più difficili, vinta da Texas Tech, con uan striscia di nove partite di fila. E ne elogiano compostezza, calma e intelligenza, anche in considerazione della “discendenza da basket”. Cioè di quell’Italia dove ha lasciato da subito un segno.
Ha iniziato a giocare nelle giovanili delle squadre dove militava papà, da Roseto degli Abbruzzi al Pistoia 2000, dove poi Moretti Senior era capo allenatore della prima squadra, alla Stella Azzurra Roma dove Moretti Junior è arrivato quarto nel campionato under 17, nel Pistoia dove ha esordito in serie A, il 26 ottobre 2014, aggiudicandosi il torneo under 17, perdendo di un solo punto quello under 19, e nell’Universo Treviso Basket di A-2, dove ha raggiunto per due anni i playoff, premiato nel 2017, come miglior under 22 del torneo. Da lì, il 10 giugno 2017, ha deciso di spiccare il salto nel campionato di college Usa, accettando l’offerta della Texas Tech University.
Davide è un giocatore completo, con una media al tiro del 50% da 2, 40% da 3 e – udite, udite - 90% ai liberi, nel sogno di imitare l’idolo, Tony Parker, nell’Nba. Addirittura, nei liberi, è stato anche il migliore del torneo col 93,2%. E comunque, nelle quattro partite del famoso March Madness, ha già detto la sua 12 punti di media (48,4% dal campo, 33,3% da tre, 84,6% ai liberi). Davide è un ragazzo semplice, particolarmente orgoglioso del suo “Moretti Basketball Dream Camp”, a giugno a Rimini a luglio-agosto a Ovada, a contatto con giovanissimi cui piegare l’esperienza americana: “Qualcosa di speciale, che secondo me va raccontata e ascoltata”.
Dalle difficoltà: “Ci sono stati dei momenti complicati nella fase centrale della stagione”. Alle differenze fra la pallacanestro italiana e il basket statunitense: “La più grande per quanto riguarda il gioco è sicuramente l’atletismo e la maggior fisicità. Ho aggiunto sette chili e mezzo di massa muscolare, sono un altro giocatore come reattività, esplosività e abitudine ad allenarmi con atleti d’elite. Eppoi, da qui è passato il mitico Bobby Knight, e il suo credo fa sempre legge: se non difendi, non giochi. Così, in questo fondamentale, sono migliorato molto: per guadagnarmi minuti dovevo cercare di fare il minor numero di errori, e ora mi sento un giocatore migliore. Ho imparato che l’allenamento fa sì che non ti tremino le gambe: il lavoro quotidiano genera fiducia nei propri mezzi”.
Non a caso, la sua crescita è coincisa con quella della squadra che l’anno scorso ha partecipato al famoso March Madness. Cioè è tornata fra le Sweet Sixteen (per la terza volta di sempre nella storia dell’università, dalla stagione 1984/1985 e per la prima dal 2004/2005), ha battuto anche Purdue, è pure entrata nella “Elite Eight” (per la prima volta nella storia del college, datato 1923), ma è stata eliminata da Villanova nella East Regional. Quest’anno, invece, grazie a Moro, è arrivata in paradiso. Moretti jr che come Gallinari jr è diventato più forte del papà.