Gara tre delle finali NBA sarà ricordata come quella delle grande assenze. Per Golden State, ai nastri di partenza, non ci sono Kevin Durant, Klay Thompson e Kevon Looney. E la loro mancanza si fa sentire immediatamente. Steph Curry sa che tutto sarebbe caduto sulle sue spalle ed è insolitamente aggressivo. Sa, inoltre, che dovrà stare in campo senza sosta e prendersi molte, forse troppe, responsabilità. Quello che non vorrebbe, invece, si realizza da subito, nei primi minuti: predicare nel deserto con i Warriors orfani dei loro soliti punti di riferimento in attacco.
In casa Toronto, invece, in quei primi minuti segnano tutti e cinque i membri del quintetto. Pronti, via ed è subito 15-7 di parziale per i canadesi. Steve Kerr è costretto a chiamare timeout. Se la squadra balbetta in questo modo, non c’è speranza. I Raptors riabbracciano, tirando un sospiro di solievo, i due latitanti di gara due. Il suo centro, Marc Gasol, ma soprattutto Pascal Siakam. I due si fanno subito sentire per dimostrare che stavolta, sul parquet, le stringhe delle scarpe le hanno allacciate.
La regia è sempre firmata da Kyle Lowry che spinge sull’acceleratore ogni volta che può. Dall’altra parte Curry non può smettere di prendersi sulle spalle l’intera carica offensiva dei Warriors (nel primo tempo segna 25 punti, nel secondo 24). Ma è uno dei pochi a muovere la retina. Le palle perse fioccano, la lucidità latita.
A new #NBAPlayoffs career-high of 45 points for @StephenCurry30 pic.twitter.com/lBKKQ1stcT
— Golden State Warriors (@warriors) 6 giugno 2019
La partita cambia quando i Raptors iniziano a raddoppiare l’unica vera minaccia avversaria. Ma non infliggono mai, se non negli ultimi cinque minuti di partita, un vero pugno da k.o. Anzi, dopo un buon inizio, il loro attacco diventa troppo discontinuo, difetto già visto nelle prime due puntate della serie, con Kawhi Leonard che gioca a intermittenza. Non capita spesso di vederlo piegato sulle ginocchia. Ieri notte ha continuato a farlo: dopo ogni tiro libero, ad ogni timeout, in ogni pausa. E Toronto si interstardisce nel chiedergli di risolvere una partita che non sarebbe così complicata, viste le premesse.
Alla fine del primo quarto il punteggio è 36-29, al termine del secondo 60-52. Curry ha riposato, quasi mai seduto in panchina appena due minuti. Gli straordinari, per lui, oggi sono necessari. Soprattutto in una partita selvaggia, fatta tutta di nervi, come questa.
Il rientro dagli spogliatoi stavolta è profondamente diverso per Toronto. Nessun parziale subito (fu 18-0 per i Warriors in gara 2) e gestione del ritmo saldamente nelle mani dei suoi playmaker. Anche Kawhi Leonard entra in partita, per lui alla fine saranno 30 i punti a referto. È Danny Green, però, in poco tempo, a punire con le sue triple la difesa di Golden State, a cui non bastano stavolta i canestri pesanti di Iguodala e Bogut. Curry intanto non smette di correre, tirare e segnare. Ma l’indicatore della benzina, per lui, è puntato sulla riserva. In difesa la squadra di Oakland inizia a sentire la fatica e le limitatissime rotazioni. I Raptors arrivano all’ultimo intervallo con un tesoretto di tredici punti (96-83) da gestire.
Danny Green connects on one of his six threes in #PhantomCam!#WeTheNorth 113#StrengthInNumbers 101
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L'ultima frazione parte con Golden State che prova a tirare fuori dal cilindro le ultime risorse. Ma raschiare il fondo della panchina porta a risultati altalenanti.. Al tentativo disperato di rimonta si unisce tutta la Oracle Arena, colorata di giallo e blu, che non smette mai di incitare e cantare. La resa, nonostante tutto, è inevitabile. A spegnere le velleità definitive dei Warriors ci pensano prima Serge Ibaka, con due canestri e due stoppate, e poi il piccolo Vanvleet, con cinque punti di puro talento.
COLD-BLOODED @FredVanVleet | #BetOnYourself pic.twitter.com/VNtL3wijrj
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Ll’impossibilità delle seconde linee dei californiani di tenere il campo è un dato di fatto. Toronto controlla partita, tabellone e cronometro. Fino alla fine. La squadra di coach Nurse doveva vincere e ha vinto. Golden State, senza i suoi campioni, è ancora sul ring, ma è pericolosamente appoggiata alle corde. Sarà l’infermeria a decidere, forse. l’esito di queste finali. Da solo Stephen Curry, nonostante i suoi 47 punti, nuovo record personale ai playoff, non può farcela.