AGI - "Il personaggio di Dean ha distrutto la sua vita, il suo matrimonio. Dopo essere tornato da tre guerre, ora è rimasto con se stesso e non credo che voglia stare con se stesso. Quindi diventa un alcolizzato per distrarsi. E poi questo miracolo arriva nella sua vita: riceve un telegramma e ha una sorta di risveglio. Dice: wow, ho un figlio. E capisce di aver praticamente sprecato la sua vita. Ha fatto cose buone, ha servito il suo paese e tutto il resto. Ma ora non sta facendo nulla nella sua vita. Ha un figlio e forse può fare del bene a suo figlio. Questo per lui è un cambiamento di paradigma, qualsiasi cosa Dean volesse fare prima".
Raccontando il personaggio del veterano di guerra americano che torna a Napoli per conoscere il figlio nel film 'Hey Joe' di Claudio Giovannesi, presentato oggi alla Festa del cinema di Roma, James Franco fa un paragone con se stesso. Anche l'attore americano ha subito nella vita un cambiamento analogo a quello del suo personaggio rivedendo il valori in cui credeva. "Quando ero giovane, pensavo che il successo avrebbe dato un senso alla mia vita - racconta - poi ho avuto un cambiamento di paradigma e ho capito che, in ultima analisi, le cose più importanti per me e quelle che stavo cercando di ottenere dal successo erano solo di stabilire un contatto reale con le altre persone. Un vero tipo di crescita, che si potrebbe chiamare crescita spirituale o maturità - aggiunge - ho capito che la mia vita doveva essere incentrata su queste cose, sulla connessione con gli altri, sul lavorare con gli altri, sull'aiutare gli altri e sul crescere spiritualmente. Questo è ciò che darà un senso alla mia vita", conclude.
James Franco, una delle star di Hollywood più amate nonché produttore e regista indipendente, candidato all'Oscar per '127 ore' di Danny Boyle nel 2010, racconta che 'Hey Joe' è stato girato in maniera molto particolare da Giovannesi. "Claudio si ispira molto al Neorealismo italiano. Io chiamo questo genere neo Neorealismo italiano - spiega - per questo, per la maggior parte delle scene, abbiamo usato solo due angolazioni. In un tipico film americano si fanno molte riprese: l'inquadratura larga, l'inquadratura media, il primo piano... Con Claudio ci sono solo due inquadrature - continua - e poiché ero il personaggio principale, lui voleva che il film fosse dal mio punto di vista. Quindi la telecamera è sempre sopra la mia spalla per tutta la scena e poi sul mio viso per tutta la scena. Inoltre gira tutte le scene, ogni ripresa, dall'inizio alla fine. E lo si faceva ogni volta, circa dieci volte per ogni angolazione. È stato un ritmo insolito per me, ma alla fine credo che l'effetto, soprattutto dopo averlo visto, sia quello di vivere davvero nel film".
Franco fa quindi un confronto col film di Danny Boyle che gli è valsa la candidatura all'Oscar In '127 ore', racconta , "ero intrappolato nella roccia e alla fine mi sono dovuto amputare un braccio. Era un film in cui c'era un solo personaggio - continua - e anche in questo film abbiamo fatto lo stesso. Si gira il film e si recita per 10 minuti, 15 minuti, 20 minuti. E poi inizi a vivere un'esperienza reale: non è più solo fingere di essere stanco perché sei davvero stanco". Non è stata questa, però, l'unica sfida che ha dovuto affrontare nel girare 'Hey Joe'. C'è stata anche quella del linguaggio: Franco recita in inglese e in italiano, così come Francesco Di Napoli (il figlio nel film) e altri attori tra cui la prostituta interpretata da Giulia Ercolini. "Come attore amo le sfide e questa è stata certamente una sfida - spiega - ma ho pensato che la barriera linguistica fosse la metafora perfetta della barriera emotiva tra il padre e il figlio, del trauma e della distanza temporale, dell'abbandono e di tutto il resto. E così il padre si fa strada attraverso tutti quei danni e quelle ferite - spiega ancora - e per il linguaggio con cui deve confrontarsi affronta esattamente lo stesso tipo di lotta, solo che si manifesta in questo modo. Quindi era davvero perfetto per il film. E abbiamo trovato un modo per farlo in maniera molto naturale - conclude - visto che sia io che Francesco (Di Napoli) eravamo entrambi alle prese con questo tipo di problemi. E ho pensato che fosse molto significativo il fatto che stessimo recitando insieme e che entrambi provenissimo da questi linguaggi diversi. È stato molto potente", conclude.