AGI - Conosco Gino Cogliandro da quando avevo vent’anni. Frequentavamo un piccolo localino situato nella zona tra piazza Amedeo e via Tasso denominata “parco Margherita”. Il ”Perhaps club” annoverava tra gli iscritti tanti giovani artisti napoletani. Attori, musicisti e scrittori che poi ogni sabato mattina, riuniti dallo stesso gestore del club, Nino Anaclerio, si ritrovavano in calzoncini corti a tirar calci ad un pallone sul campo dell’Hotel Sangermano ad Agnano dando vita alla proverbiale sfida: “Provoloni” contro “Mozzarelle”.
Io ero un “habitué” e talvolta anche Mirko Setaro calzava gli scarpini. Eduardo aveva scelto come ruolo lo spettatore che fa esercizio di “sfottò” a bordo campo. Quando a Gino toccava di andare in panchina amava attendere il suo turno imbracciando una chitarra.
La suonava per se stesso, con aria meravigliata e talvolta anche sorpresa grazie ad un nuovo accordo piuttosto che ad un particolare rivolto che aveva trovato. Un entusiasta per natura. Certamente non passava inosservato. Io lo avevo visto in palcoscenico una sola volta, al fianco di Edoardo, in una sarcastica parabola messa in scena proprio al club che si trovava nei sottoscala di un antico palazzo.
L’irriverente dissacrazione della figura di Caino era molto divertente e culminava in una canzoncina accompagnata alla chitarra dallo stesso Gino. Era chiaro a tutti quanto fosse immerso nel mondo dei suoi sogni, direi quasi allo stesso modo nel quale praticava i ruoli teatrali che gli venivano assegnati. Mi ispirava un senso di protezione proprio perché aveva da tempo rinunciato ai cliché che si adottano in certi ruoli.
Ne persi le tracce quando con Mirko, lo stesso Eduardo e Amalia Vetromile, una dottoressa in chimica con la passione della recitazione, ci ritrovammo a formare il gruppo teatrale de “I rottambuli” per iniziativa dell’istrionico Nino Anaclerio. Io scrivevo, suonavo e istruivo le parti vocali che fungevano da perno nell’attività spettacolare del gruppo.
Gruppo che, una volta ridotto a tre elementi per l’uscita di Amalia (vincitrice di ruolo dirigenziale in una importante azienda) veniva ribattezzato “Trettrè” da Marcello Casco, geniaccio del cabaret e gestore a Roma del locale “La Chanson”, teatro che fu trampolino di lancio de “La Smorfia” e altri gruppi che poi emersero nel programma televisivo “No stop” di Enzo Trapani.
Proprio quando il gruppo dei “Trettrè” cominciò a viaggiare fluidamente nel circuito dei teatri e mise finalmente piede in qualche programma televisivo nazionale io capii che sarei stato di peso al gruppo così come l’attività di attore lo era già diventata per me che avevo da sempre mirato al fantasmagorico ed impervio mondo della musica.
Edoardo si diede quindi da fare per rintracciare Gino che intanto pare si trovasse a vivere con i pescatori locali di Stromboli. La cosa fu per loro, e ovviamente anche per me, provvidenziale. Io ricominciai a operare nel campo musicale a tempo pieno ed ebbi la fortuna di incrociare un Gino Paoli in nuova ascesa proprio mentre i tre ritrovati amici riscuotevano un successo enorme trainati dal programma “Drive in”.
Le nostre coscienze si ritrovarono magicamente rasserenate. Anni dopo lavorammo fianco a fianco in un “buona domenica” degli anni ‘90, ciascuno nel ruolo che da sempre aveva puntato. Ho il ricordo gioioso di un viaggio in auto fatto insieme a loro tre nel quale si percepiva la consapevolezza di aver trovato ognuno la propria strada, e di averla trovata solo nel momento in cui più condizioni la rendevano possibile. Fu in quella circostanza che Edoardo e Mirko mi raccontarono di quando fu proposto a Gino di prendere parte ai “Trettrè”, già in odore di una lunga e fruttuosa esposizione televisiva, e della sua risposta, paradossale se si considera che di fatto era disoccupato… “Che garanzie mi date?”
Conoscendo le miserie e le nobiltà che a quel tempo caratterizzavano le nostre vite scoppiai in una irrefrenabile risata che fu seconda solamente a quella dello stesso Gino che con gli occhi sorridenti di un bambino sorpreso in una marachella non mancava di sottolineare, ancora una volta, la sua encomiabile, splendida e soave leggerezza. Mancherà a chi lo ha ammirato in tv ma soprattutto a chi ha avuto la grande fortuna di frequentarlo.