S olo negli ultimi anni i Golden Globe hanno conquistato uno status di premio particolarmente ambito, svestendo i panni di semplici antipasti degli Oscar. Questo perché, come ormai noto, il prodotto seriale ha guadagnato il proscenio, ha catturato l’attenzione del pubblico mondiale, e non poteva essere altrimenti giunti ad un anno esatto dall’inizio del primo lockdown, quello totale, che ci ha inchiodati in casa, spesso davanti alla tv, spessissimo ancorati alla trama di una serie.
È certamente “The Crown” ad uscire vincente dalla serata, portandosi a casa il premio come miglior serie, miglior attore in una serie drammatica, migliore attrice in una serie drammatica e miglior attrice non protagonista in una serie. I premi sono andati a Josh O'Connor, Emma Corrin e Gillian Anderson, ovvero Carlo, Diana e Margaret Thatcher nella serie che racconta storia e retroscena della monarchia inglese negli anni di Elisabetta II. Una serie che trascina dentro un mondo difficile da comprendere da fuori, che fino a qualche anno fa, prima che Peter Morgan proponesse questo audace progetto, potevamo solo intuire attraverso le narrazioni delle riviste scandalistiche patinate.
Oggi invece il tutto viene raccontato con una sfrontatezza che anni addietro nemmeno avremmo ritenuto possibile, una sfrontatezza che ha fatto tremare le mura di Buckingham Palace, ma che ha fatto anche sorridere molti protagonisti reali della vita di corte inglese che, evidentemente, aspettavano con ansia che certe storie, seppur romanzate, venissero a galla. Che è un po' quello che ha dichiarato proprio nelle scorse ore il principe Harry al seguitissimo The Late Night Show: che la serie è vagamente basata sulla verità.
Non c’è da farsi imbambolare dalle nostre convinzioni, è facile immaginare “The Crown” come una lenta sequela di conversazioni davanti ad una tazza di tè, ma niente è più lontano dalla realtà, specie in quest’ultima quarta stagione, che mette al centro le disavventure del matrimonio tra Carlo e Diana, e di una famiglia che c’è anche quando non c’è, dalla quale è impossibile restare distaccati e che significa e vale sopra ogni cosa.
In Italia “The Crown” è disponibile su Netflix, così come “La regina degli scacchi”, un’altra serie che tende a drammatizzare e rendere affascinante un’arte che consideriamo da sempre destinata ai pochi: gli scacchi. Miglior miniserie e migliore attrice in una miniserie, andata alla protagonista, l’irresistibile Anya Taylor-Joy. Gli scacchi raccontati come la più avvincente delle sfide tra menti umane superiori, gli scacchisti come rockstar che firmano autografi, drogati, alcolizzati, icone della moda con il proprio talento sottomesso alle proprie debolezze.
A vincere invece tra le serie comedy è “Schitt's Creek”, grande successo oltreoceano non ancora ripreso dalle piattaforme italiane nonostante la trama particolarmente intrigante: Johnny Rose è un ricco magnate della tv, Moira la star di una soap di successo; una volta caduti in disgrazia finanziaria, sono costretti a trasferire tutta la famiglia a Schitt's Creek, una cittadina che anni addietro il padre aveva acquistato e regalato ad uno dei figli per il compleanno. Finora la sitcom non aveva riscosso premi dall’eco internazionale, si spera che i Golden Globe come miglior serie commedia e migliore attrice convincano alla distribuzione anche nel mercato italiano.
La visione di “Un volto, due destini - I Know This Much Is True” è caldamente consigliata per l’interpretazione magistrale di Mark Ruffalo, che si porta a casa il premio come miglior attore in una miniserie. L’attore di Kenosha (Wisconsin) si sdoppia davanti alla cinepresa diventando entrambi i gemelli Birdsey, che da punti opposti della vita uniscono le forze una volta rimasti orfani per studiare il passato della loro famiglia. La serie è stata trasmessa su Sky lo scorso settembre ed aveva già ripagato Ruffalo con un Emmy nel 2020.