“Credo che il segreto di una buona conduzione sia la curiosità, le domande sono tutte lecite, stiamo raccontando di fatto una ricerca scientifica”. In queste settimane dominate dal coronavirus Serena Bortone, conduttrice di Agorà (Raitre) ne rivolge parecchie, sempre molto dirette, agli esperti in collegamento, virologi, epidemiologi, immunologi che hanno contribuito a cambiare il volto della sua trasmissione mattutina in onda dal lunedì’ al venerdì.
“Abbiamo cominciato a coinvolgere gli esperti da subito, quando la Cina confermò la trasmissione da uomo a uomo di questo nuovo misterioso virus, simile alla Sars ma meno pericoloso” racconta all’AGI. “Era il 20 gennaio, il 21 mattina organizzammo un collegamento con Giovanni Rezza, responsabile delle malattie infettive dell'Istituto superiore di sanità, ci spiegò le poche cose che all’epoca si sapevano. Da quel giorno abbiamo tenuto sempre una finestra aperta, approfondendo soprattutto le implicazioni economiche legate al virus”. La rapida trasformazione dell’emergenza, da economica a sanitaria nell'arco di un mese da quel 20 gennaio, quando, racconta, lo stesso Rezza il 21 febbraio tornò in trasmissione a parlare del primo focolaio italiano, ha portato il gruppo di lavoro, a rivedere organizzazione e priorità del programma, premiato dagli ascolti, con lo share passato da una media del 9 al 10 per cento”.
Sola in studio, con tanti ospiti ma collegati soprattutto via Skype, cosa significa mettere un programma al servizio dell’emergenza coronavirus?
“Più di prima ora dominano il principio di responsabilità e l’informazione pura, che ha fatto impennare il numero dei collegamenti. Quelle di questi giorni sono dirette complicate, in due ore abbiamo circa venti ospiti, prima erano una dozzina ma l’esigenza è quella di non trascurare nessuno, dando voce agli esperti, a chi vive in prima persona l’emergenza e alle storie dai territori”.
Su quanti inviati può contare?
“Dal primo caso di Codogno tre inviati sono sempre nei punti caldi dell’emergenza, soprattutto davanti agli ospedali. Agorà è sempre stata molto attenta al territorio, con un approccio alla “Guerra e pace” di Tolstoj dove le storie private si intrecciano a quella collettiva, anche quando in tempi normali ci occupavamo molto di politica. Abbiamo intensificato i nostri rapporti con le strutture sanitarie dal primo caso di Codogno, dando voce soprattutto ai territori, a chi subisce l’epidemia e lotta per sconfiggerla.Ora c’è più spazio per le storie personali, a partire da quelle dei medici e degli infermieri che oggi sono i nostri eroi: sono servite fin da subito a far capire, anche a chi non viveva vicino all’emergenza, che di vera emergenza invece si trattava. E poi sono convinta che sia compito del servizio pubblico far sentire la sua vicinanza a quelle realtà. So che stiamo dando vita a qualcosa di bello per loro, e anche per chi, come le cassiere del supermercato, sta facendo la propria parte in questo momento. In questo periodo, invece, non c’è nessuno spazio per il superfluo. Invitiamo gli ospiti che servono, prevalentemente esperti. Il chiacchiericcio in questo momento non serve, abbiamo la responsabilità di informare e di comunicare, una responsabilità che aumenterà nella fase due annunciata dal premier Conte, quella della convivenza con il virus”.
Che spazio ha la politica?
“I politici, rigorosamente in collegamento Skype come il resto degli ospiti ci sono sempre, un po’ meno di prima, del governo e dell’opposizione ma nell’Agorà del coronavirus non c’è più il gusto del retroscena politico che prima ci piaceva tanto cesellare, ora sarebbe ridicolo. Al suo posto, la richiesta della chiarezza politica sull’emergenza da parte di chi è al governo e microfoni aperti alle opposizioni sui problemi relativi alla gestione del Covid 19. Abbiamo molti governatori e ci scrivono anche tanti sindaci Agorà è diventato un punto di riferimento per la crisi. E per alcuni collegamenti dai piccoli comuni si usa anche il semplice telefono: Come quando, nel lontano ’94, lavoravo con Antonio Lubrano a “Ultimo minuto”, trovo che il telefono sia ancora un mezzo efficace in tv”.
Dal punto di vista pratico, cosa è cambiato dietro le quinte del programma?
“Gli autori partecipano alla diretta nello studio di Saxa Rubra, ma, al contrario di prima, la riunione pomeridiana si fa da casa, ognuno nella sua, in collegamento su Zoom meeting. Ma più che nell’aspetto pratico, la difficoltà sta in quello emotivo: ogni tanto mi salgono le lacrime, mi verrebbe da abbracciare la persona con cui sto parlando, ma ovviamente non mi metto a piangere in diretta anche perché credo di avere il dovere di essere la prima a infondere coraggio, anche con un sorriso”.
Quale storia l’ha toccata più profondamente?
“Mi è difficile scegliere: i tanti infaticabili e coraggiosi medici e tutto il personale sanitario della Lombardia, tornato in corsia anche dopo la pensione, l’infermiera di Pesaro che mi ha raccontato lo strazio dei pazienti prima di essere intubati, legato a quello di non poter comunicare con i loro parenti, e quella del ragazzo che ha contratto il virus in una vacanza sugli sci. Si è collegato dal suo letto di ospedale, inizialmente ho provato una sensazione di intrusione nella sua privacy perché prima non mi ero mai dedicata alla cronaca così stretta, la mia invadenza televisiva l’avevo riservata semmai ai politici. Ma poi ho capito che quel ragazzo che prima si credeva invincibile rispetto al coronavirus, sentiva la necessità di mettere in guardia i suoi coetanei”.
Di questa Agorà del coronavirus cosa conserverà quando si tornerà in tempi normali?
“Il non accavallamento delle voci degli ospiti, adesso imposto dai collegamenti Skype e l’idea dell’imprevisto perché questo virus ci ha insegnato che non si può controllare tutto”.
Per parlare di aspetti più minimi, immagino che non veda l’ora invece, di fare a meno dei capelli fai da te, imposti dalla soppressione del servizio “trucco e parrucco” in Rai…
“Questa nuova condizione mi ha fatto venire in mente una t-shirt che avevo comprato quando ero quindicenne in Inghilterra con la scritta “Come posso controllare la mia vita se non so controllare i miei capelli?”. All’inizio ho provato a farmi la piega con la piastra, con risultati disastrosi e quindi ho deciso di raccoglierli. E poi, dopo il fuorionda di Mattarella sui suoi capelli …”.
A casa come si comporta rispetto al coronavirus?
“Sono attenta alle regole, ma senza accanimenti da ipocondriaci: disinfetto il telefonino, uso la mascherina e i guanti…. E, precauzioni a parte, sto vivendo questo periodo come un momento di “no man’s land” la terra di nessuno citata dalla scrittrice Nina Berberova: una sorta di spazio di libertà interiore, rigenerante, non pressato dalle urgenze dei film, delle mostre e dei concerti da vedere”.
La prima cosa che farà appena uscita?
Abbracciare. È quello che più mi manca”. È la prima cosa che farò appena torneremo a una vita normale”.