“Mi raccomando, sii prudente”. L’invito tradizionalmente riservato ai figli è diventato adesso la frase-tormentone che Tiziana Panella, conduttrice di Tagadà, indirizza ai suoi inviati nelle zone più rischiose dell’emergenza coronavirus.“Siamo sempre stati abituati a considerarli, con il loro grande lavoro, i nostri occhi e le nostre orecchie sul mondo - chiarisce all’Agi - adesso invece quando partono prevale il mandato della cautela, che in tempi normali non è certo il primo sentimento della nostra professione”.
La gestione degli inviati non è certo l’unica innovazione dettata dal coronavirus nelle tre ore di diretta pomeridiana che Panella conduce su La7 dal lunedì al venerdì. Una volta dedicato all’approfondimento di temi politici, economici e di costume, con l’emergenza coronavirus si à trasformato in un appuntamento quasi monotematico e, soprattutto di servizio. Premiato dagli ascolti, saliti da una media del 3,5 per cento di share al 5.
Avete dovuto rinunciare al pubblico e agli ospiti in studio, ora a Roma nello studio di via Novaro siete rimasti lei e il collega Alessio Orsingher, vi sentite soli?
“Il pubblico rappresenta una sorta di punteggiatura rispetto a quello che succede in studio, il primo test della validità di quello che diciamo. E rispetto agli ospiti abbiamo dovuto via via rivedere anche il ricorso agli zainetti esterni, servendoci soprattutto dei collegamenti Skype. Ma l’aspetto tecnico è solo una parte del problema, in questo periodo il fattore più impegnativo quello emotivo, legato alla gestione di un flusso di notizie pesante e faticoso”.
Come è cambiato Tagadà?
“Abbiamo capito da subito che i telespettatori oltre ad informarsi immergendosi nelle storie e nelle testimonianze avevano bisogno di indicazione e di risposte ai loro dubbi rispetto al virus. Per questo, non essendo noi né virologi né immunologi, abbiamo degli specialisti del settore che si alternano nella nostra rubrica “All’esperto chiedo” fornendo risposte, vademecum su come comportarsi, chiarimenti sui provvedimenti governativi. Dal pubblico ci arrivano ogni giorno centinaia di telefonate, che continuano anche nella notte, quando i telefoni di Tagadà sono chiusi, verso il centralino de La7”.
Cosa chiedono agli esperti?
Vogliono sapere soprattutto cosa disinfettare e cosa no, in particolare rispetto al cibo.
Quanti inviati avete in giro per l’Italia?
“Ne abbiamo uno che copre la Lombardia, un altro a Roma e un altro collegamento con le zone che via via raccontano cosa sta succedendo nel Paese. Giorni fa abbiamo mandato un inviato a Messina, quando è partito l’allarme Sicilia da parte del sindaco e del governatore Musumeci ci siamo detti “andiamo a girare”, perché era funzionale al racconto.
Le è mai capitato di commuoversi in questi giorni?
“Sì: è commovente la dedizione che si legge negli occhi dei medici, mi ha toccato in particolare una frase detta in trasmissione “E’ un lungo giorno che non finisce mai dal 21 febbraio”. Come è impossibile non commuoversi davanti alle testimonianze di chi ha perso un genitore e non riesce ad accettare di non avergli neanche potuto dare una carezza. Questo virus è molto legato al concetto di solitudine, ed è straziante”.
Nella sua vita professionale le è mai capitata un’esperienza accostabile a questa?
“Per Raitre ho seguito la guerra in Kosovo e negli occhi di chi mi parlava vedevo lo stesso smarrimento che oggi trovo in quello dei medici e nell’inferno che vivono i parenti. Solo che rispetto al Kosovo ora in guerra ci siamo tutti”.
Quando il suo Tagadà potrà tornare a ritmi e temi normali, cosa resterà di questa versione coronavirus?
“Quest’esperienza mi sta insegnando che non si deve dare per scontato che le varie decisioni del governo siano sempre comprese dal pubblico. C’è un grande numero di persone poi che oltre a voler capire ha bisogno di relazione e di ascolto, quindi potremmo decidere di tenere la rubrica dedicata alle telefonate del pubblico.
Nella sua vita privata come vive queste giornate?
“A casa con mia figlia, che al terzo anno del liceo classico, studia con le videolezioni. Dopo aver seguito Tg e approfondimenti funzionali al mio lavoro abbiamo i nostri riti, la cena, i compiti, il divano condiviso. E il sabato e la domenica, quando non sono in tv, cuciniamo l’impossibile, dalle torte a paste e sughi: nel weekend scorso la pasta alla genovese, con il sugo pieno di cipolla, l’abbiamo digerito tre giorni dopo”.