I l 2 ottobre del 1969, quindi 50 anni fa, andava in onda la prima puntata de’ “L’uomo Tigre”, il manga scritto da Ikki Kajiwara e illustrato da Naoki Tsuji che nel 1982 sbarcherà anche in Italia diventando uno dei cartoni animati più iconici della storia della nostra televisione.
Già, perché “L’uomo Tigre”, nome originale “Tiger Mask”, non è soltanto appassionante ma fa parte di una serie di titoli di cartoni animati provenienti dal Giappone che evidenziavano una sorta di epicità che poi si è andata tristemente a perdere. Non si può definire in altro modo l’epopea di Naoto Date, l’orfano che viene reclutato dalla famigerata Tana delle Tigri e addestrato sulle Alpi per diventare un lottatore di wrestling imbattibile, ma che poi, una volta tornato in Giappone, decide di voltare le spalle alla sua scuola per devolvere tutto ciò che guadagna all’orfanotrofio dal quale è scappato.
La Tana delle Tigri naturalmente non ci sta e decide di mandargli ogni puntata un proprio lottatore per ucciderlo dinanzi agli occhi del mondo, sul ring. Ed è proprio qui che si manifesta la pura poesia del personaggio, che decide di accettare ogni volta la sfida e di lottare all’interno del quadrato si, ma rispettando le regole dello sport, mettendosi alle spalle la ferocia e la spietatezza con le quali è stato addestrato per fare da esempio ai bambini dell’orfanotrofio per i quali è diventato un vero eroe.
Un eroe mascherato, naturalmente, perché nessuno conosce la sua vera identità. Il contesto in cui si muoveva Naoto Date è quello del Giappone del dopoguerra, sconfitto e bombardato con le prime due atomiche della storia, non vengono risparmiate scene di sangue abbastanza cruente, rese al massimo dalla matita di Keiichiro Kimura, character designer e regista anche di altri anime cult come "Mimì e la nazionale di pallavolo" e "Sam il ragazzo del West", deceduto nel 2018 a 80 anni.
L’Uomo Tigre è un personaggio sofferente, che vince col cuore incontri che possono essere definiti vere e proprie battaglie, in barba allo show farlocco offerto dal wrestling che siamo abituati a vedere in tv. Dietro alla maschera da tigre si cela una drammaturgia ben precisa, quasi shakespeariana, che ha attirato, ai tempi, anche la lega nipponica di wrestling che ha acquisito i diritti per inserire nel proprio circuito un lottatore con le sue fattezze.
In Italia invece parte del suo successo è certamente dovuto alla sigla scritta e cantata da Riccardo Zara che, oltre a riportarci ai pomeriggi passati davanti alla tv, riassume perfettamente la leggenda del lottatore che fa paura come una tigre (indimenticabili le passeggiate notturne in abito da sera e maschera) ma che “lotta contro il male”, sovvertendo i canoni classici della letteratura che disegna i buoni come buoni e i cattivi come cattivi. L’Uomo Tigre invece è un redento con i muscoli, un eroe che sanguina sul ring per espiare le proprie colpe, un nostalgico che “solitario nella notte va”.