L a sua prima volta in radio è stata con un nome d’arte che più banale non si può. Perché quando a 18 anni esordì davanti ai microfoni della piccola emittente romana Radio Cassia dopo qualche mese da fonico a Tele radio Domani ("si sentiva soltanto nel quartiere del Divino amore", scherza), Marco Liorni dovette rinunciare al suo nome, giudicato poco radiofonico dal proprietario della radio. Lo ribattezzò con un anonimo Donati, cognome d’arte poi archiviato quando il conduttore approdò alle radiocronache sportive di Radio Incontro e quindi, per lunghi anni, tra le più dorate onde di Rds.
Adesso che di anni ne ha 53, nel pieno della sua eterogenea carriera televisiva piena di talk-show, contenitori, talent e reality e in contemporanea con la conduzione di Italia sì, il suo innovativo programma del sabato pomeriggio di Raiuno, Liorni torna, da grande novità del palinsesto di Radio1, al mezzo che gli ha aperto la strada del successo. Dal 7 gennaio, all’interno di Radio1 giorno per giorno, format dedicato ai temi sociali e all’informazione di servizio, il conduttore dà vita, dalle 11,30 alle 11,35, a una rubrica dedicata "alle tre facce del giorno". Ha esordito con il vincitore della Lotteria Italia, con l’infermiera di Cefalù che oggi lavora nell’ospedale dove è stata in un mese in coma e con la bistecca d’oro esibita sui social dal calciatore Franck Ribery…
Per una colonna tv come lei, qual è l’elemento di fascino della radio?
Chi fa la radio lo sa, stare dietro quel microfono è un po’ come sussurrare l’orecchio di chi ascolta. In radio nasce un’intimità irraggiungibile in tv, e maneggiare le parole dà una soddisfazione unica.
Come le sceglie le sue facce?
Privilegiando i personaggi divertenti, quelli toccanti e anche le facce di bronzo. Non è detto che debbano essere sempre volti noti. Spesso la cosiddetta gente normale ha storie più interessanti.
A proposito di fisionomie, lei con il suo viso da bravo ragazzo e la sua conduzione pacata è sicuramente il volto buono della tv. Ma un po’ di cattiveria se la concede mai?
Il cattivismo fine a se stesso non mi appartiene, e sono anche convinto che chi lavora nella comunicazione, debba trasmettere valori sani. In particolare nella tv pubblica. Questo non significa però che la cattiveria nella vita non serva: nel senso sano, del non fare sconti a chi se lo merita. In questo sono molto bravo.
Qual è stata la cattiveria più grande della sua vita?
A 12 diedi un pugno a un ragazzino. Senza un vero motivo, solo perché aveva fatto cadere per terra il mio giaccone. A quell’età comportarsi così serviva a dimostrare di essere grandi. Se ci ripenso sto male ancora oggi.
Andrea Costa, sindaco di Luzzara, ha appena emesso un’ordinanza che vieta l’odio e le offese ai suoi cittadini, sia dal vivo che sulle “piazze virtuali”, con immediato effetto boomerang visto che sono stati rispolverati alcuni suoi tweet poco moderati. Siamo ormai a un cattivismo senza ritorno?
Non so se la cattiveria si possa fermare per legge, ma nella vita di tutti i giorni io vedo soprattutto un sentimento contiguo, la rabbia, registrata tra l’altro, anche dall’ultimo rapporto Censis.
Lei ha scritto anche un libro sui social “Tutti nel vortice”. Crede che siano un detonatore di rabbia e rancore, che il fenomeno degli haters sarebbe ridimensionato senza una vita virtuale?
Rabbia, rancore, sensazione di inadeguatezza sono state innescate da un mondo che nel giro di pochi anni si è trasformato, dalla crisi economica in giù. Certo è che però anche il modo di rapportarsi agli altri non aiuta. Se invece di comunicare quasi esclusivamente con messaggini e file audio tornassimo a guardarci in faccia, a vederci per un caffè o una partita di calcetto, ci avvicineremmo. Lo dico sempre alle mie figlie che hanno 8 e 14 anni e mandano una miriade di messaggini scritti. Non a caso anche la scuola non è immune da cattiveria e atti di bullismo vari, che fortunatamente non le hanno coinvolte.
E lei, che uso fa dei social?
Quanto basta per il mio lavoro. E, soprattutto, mi sono dato la regola di non rispondere mai agli haters.
Non mi dica che insultano anche un conduttore pacato come lei.
E invece sì, è capitato. Per sfogare la rabbia spesso non serve neanche un vero motivo.
Utilizzo moderato dei social a parte, quali sono le sue vie di fuga emotive da stress lavorativo e sociale?
Faccio dieci chilometri a piedi ogni giorno. Per me è una sorta di meditazione, nelle mie camminate solitarie i pensieri fluiscono, così come la mia creatività.
Cammina e medita, quindi, tra i cumuli di spazzatura di Roma. Che ne pensa della delibera con cui la sindaca Virginia Raggi punta a far pulire i marciapiedi ai cittadini?
E’ un bel po’ che soffro rispetto ai rifiuti di Roma. Ma se da una parte l’idea di appaltare la pulizia ai cittadini mi fa arrabbiare, perché significa delegare ad altri il lavoro dell’amministrazione, dall’altra credo che potrebbe servire, ovviamente insieme a scelte politiche oculate e a un vero impegno sullo smaltimento dei rifiuti. Sono convinto che partecipare al bene comune serva a sensibilizzarsi, dovendo spazzare i marciapiedi credo che saremmo tutti più attenti a non sporcare. E vigileremmo su quello che fanno gli altri.
Tornando alla tv, sogna per caso di ripiazzarsi nel pomeriggio quotidiano de “La vita in diretta”, dove parecchi telespettatori la rimpiangono?
Ma no, quella ormai è un’esperienza metabolizzata, io ora penso al mio Italia sì, che con il suo mix di generi, si presterebbe pure a una collocazione pomeridiana quotidiana. Quest’anno aveva bisogno di essere metabolizzato, sono convinto che l’anno prossimo ci darà grandi soddisfazioni.
Tv, radio, teatro… Ma se non avesse preso questa strada oggi dove sarebbe?
Mio padre era il direttore grafico editoriale che ha importato in Italia Mandrake e l’Uomo mascherato. Forse avrei potuto seguire le sue orme… Ma se a 18 anni inforcavo il mio motorino per andare a chiacchierare e a mettere dischi nelle radio di quartiere significa che non volevo fare altro.