S ono passati esattamente cinquant’anni da quando, il 2 maggio del ’69, Bruno Vespa ha toccato ufficialmente il suolo della tv pubblica, con un prezioso contratto d’assunzione ottenuto grazie al suo primo posto nel concorso Rai per radiocronisti e telecronisti. "È stato il primo e l’ultimo con cui la Rai cercava animali da marciapiede", ricorda con l’Agi il conduttore, 75 anni il prossimo 27 maggio, che nel ’76 è diventato inviato speciale del Tg1, dal ’90 al 93 l’ha diretto, dal 96 è al timone di "Porta a Porta" e ha visto passare in Rai la bellezza di 24 direttori generali.
"Quando cominciammo le selezioni eravamo circa mille, ad ogni passaggio superato arrivava a casa un telegramma che mi riempiva di emozione. Quando alla fine fui preso, persi la scommessa con mio padre: io ero pessimista, lui convinto che ce l’avrei fatta, ci giocammo una tv a colori ma non riuscii a consegnargliela: fu messa in commercio nel ’77 e papà era morto due anni prima, la regalai a mia madre".
Uno sbarco ufficiale sul pianeta Rai, il suo, che ha preceduto di neanche due mesi l’approdo di Neil Armstrong sulla Luna, "il piccolo passo per l’uomo e il grande balzo per l’umanità". Vespa in quell’epico 20 luglio 1969 che ha segnato la memoria collettiva c’era, primo dei grandi eventi cui è stato testimone in Rai, dal rapimento Moro alla fumata bianca per papa Wojtyla passando per funerali di Enrico Berlinguer. E adesso ha rievocato le emozioni di quella notte di 50 anni fa nel libro "Luna. Cronaca e retroscena delle missioni che hanno cambiato per sempre i sogni dell’uomo" (edito da Rai Libri), 263 pagine dedicate ai suoi figli sperando che "Guardino la Luna come se l’uomo non l’avesse mai violata".
Dove c’è una notizia c’è Vespa, appena arrivato in Rai si è misurato subito con un evento epocale...
"C’ero, ma all’epoca dell’Apollo 11 ero solo un "portatore d’acqua", il praticante che giustamente doveva controllare il flusso delle notizie attraverso le agenzie che venivano ancora battute dalle telescriventi. Il mio libro comincia proprio da lì, dal racconto degli occhi sgranati dell’usciere quando mi vide entrare come un siluro nella sala delle telescriventi. Mi avventai sull’agenzia della France Press che scrivendo quell’indimenticabile "L’homme est sur la lune" alle 22:17:39, ora di Roma, era stata la più tempestiva, Quel foglietto storico lo infilai sotto il vetro protettivo della mia scrivania e poi tornai di corsa sulla soglia dello studio 3 a guardare Tito Stagno, Andrea Barbato, il redattore scientifico Piero Forcella e in professor Enrico Medi che avevano appena annunciato lo sbarco".
Il trait d’union tra il suo libro, i cinquant’anni dall’allunaggio e quelli del suo carrierone è proprio Tito Stagno, protagonista dell’epica serata tv del 20 luglio che lei ringrazia alla fine del volume "per l’entusiasmo con cui ha ricordato le ore indimenticabili del ’69" chiamandolo "il mio antico maestro di telecronache".
"Stagno che oggi ha 89 anni ed è stato fondamentale per questo libro, è stato anche il padrino della prima telecronaca, il 1° giugno del ’69, quella di una regata storica a Pisa. Lo mandarono con me, in caso mi fosse venuto un coccolone da esordio".
C’è da scommettere che non successe.
"No. Anche se il vero contratto Rai lo ebbi a 25 anni avevo già una discreta esperienza. Avevo cominciato a scrivere, di sport, su un giornale aquilano, "Ja raschiu" (il graffio) e due anni dopo avevo conquistato una collaborazione fissa con la Rai per la radio regionale, come vice corrispondente dalla mia città e poi anche per quella nazionale, grazie alla presenza di una società concertistica che convogliava a L’Aquila grandissimi artisti. Mi è capitato anche di intervistare Arthur Rubinstein. Poi c’è stato appunto il concorso Rai. Da noi aspiranti telecronisti e radiocronisti volevano prontezza di riflessi e capacità improvvisazione, con prove e simulazioni parecchio stressanti".
Racconti.
"Una volta Paolo Valenti mi portò nella sala vuota di un palazzo storico romano dicendo "tra due minuti qui comincia un convegno per celebrare Gian Battista Vico, e tu lo racconti. Ho dovuto anche improvvisare una telecronaca "pronti via" di Milan-Inter. Sempre meglio di un collega a cui chiesero di raccontare il suo primo amore in soli sessanta secondi".
Tra pochi giorni compirà 75 anni, ammesso che un giorno smetterà, ha già pensato al dopo?
"In ordine di priorità mi piacerebbe diventare un paroliere (in gioventù ha scritto i testi di una canzone per Mina, mai recapitata ndr), avere una parte in un film, o anche fare il doppiatore. Ma sarei bravo anche come ispettore delle guide Michelin, perché una stanza d’albergo o un ristorante pretenzioso li smonto in cinque minuti".
Difficile immaginarla fuori dal mondo dell’informazione. Il neodirettore di Repubblica Carlo Verdelli, ex direttore editoriale dell’offerta informativa Rai parlando di lei nel suo libro "Roma non perdona, come la politica si è ripresa la Rai" l’ha definita, in positivo "uno che per una notizia si butterebbe da un treno in corsa". Ci si riconosce, e quali considera i colpi migliori del suo cinquantennio in Rai?
"Beh, ho ricevuto in diretta a "Porta a Porta" la telefonata di Papa Wojtyla, nel ’98 nel bel mezzo della trasmissione che stava celebrando i 20 anni del suo pontificato. Di Giovanni Paolo II ho raccontato sia l’elezione sia la morte. Ma l’avevo intervistato nel ’77 un anno prima che diventasse Papa, chiedendogli "Non sarebbe ora di avere un Papa polacco?". Lui mi rispose non con un no, ma dicendomi "È un po’ presto…". Anche di Moro, purtroppo ho dato la notizia sia del rapimento sia del ritrovamento del cadavere.
La sua edizione straordinaria di quel 16 marzo ’78 è un pilastro della storia della televisione e del Paese, riproposto in ogni trasmissione o film dedicato a Moro…
"Quella mattina ero ancora a casa, mi chiamarono dal Tg, "Corri, hanno rapito Moro. Arrivai, salii a piedi di corsa quattro piani di scale perché gli ascensori di via Teulada erano lenti. Avevo in mano un’agenzia di appena due righe quando andai in onda".
Nel ’91, infischiandosene del veto del governo, ha intervistato Saddam Hussein
"L’Iraq aveva offerto prima l’intervista ad Alberto La Volpe, direttore del Tg2, che informò giustamente il governo. L’allora ministro degli Esteri Gianni De Michelis mise il veto, La Volpe obbedì e gli iracheni allora invitarono me, che all’epoca dirigevo il Tg1. Accettai, a quel punto senza dire niente prima al governo. In realtà volevo mandare Sergio Zavoli, ma loro pretendevano il direttore del Tg. Presi l’aereo, il governo si infuriò e mi tolse l’assistenza: mi ritrovai senza interprete italiano a fare l’intervista in inglese, poi tradotta in arabo dall’interprete di Saddam. Prima di arrivare al cospetto del presidente iracheno fui pure sottoposto a un’accurata perquisizione, mi tolsero anche la penna, del resto James Bond la usava come arma. Con me c’era Fabrizio Del Noce che si complimentò con Saddam per la sua eleganza, chiedendogli pure il nome del sarto. Però poi successe che al ritorno l’allora direttore generale della Rai Gianni Pasquarelli mi chiamò e mi disse : "L’intervista non può andare". E io: "Ma sei matto?". Alla fine mediammo e andò in onda, ma in seconda serata".
Ma la famigerata e contestata intervista di tre anni fa a "Porta a Porta" al figlio di Totò Riina, per la quale successe un finimondo aziendale e politico e fu accusato di essere un megafono della malavita, la rifarebbe?
"Visto quello che si è scatenato probabilmente no. Ma dal punto di vista professionale certo che la rifarei: in quell’intervista si è capito per la prima volta di quali complicità godesse Riina, e solo il figlio poteva svelarle in quel modo. Ed è stata quindi un’intervista utile anche nella lotta alla mafia. E poi è andata in onda con la presenza in studio di due familiari di due vittime di Totò Riina".
Non è stato certo l’unico momento complicato della sua carriera…
"Il momento più difficile fu quello successivo alle mie dimissioni da direttore del Tg1 (era caduto in disgrazia con il crollo della Dc nel '93 di Tangentopoli, pagando il prezzo di aver detto la verità come direttore del Tg1, con la famosa affermazione in cui definì la Dc "il mio editore di riferimento" ndr). Dando le dimissioni pensavo di tornare a fare l’inviato, invece fui completamente oscurato. Un giorno riuscii a infilarmi, unico testimone, nella visita di Giovanni Paolo II e Oscar Luigi Scalfaro e il capo della Polizia Parisi alla loro visita a San Giovanni in Laterano dopo l’attentato del ’93. Tornai in redazione con l’animo da cronista e il direttore del Tg1 Albino Longhi mi gelò: "Fai pure il servizio, basta che non fai vedere la tua faccia". Sono stato escluso dalla campagna elettorale del ’94, affidata a Lilli Gruber, l’unica saltata dal ’72 ad oggi e poi rimesso in pista, quando stavo minacciando di andare in tribunale, con una trasmissione elettorale pomeridiana "Oltre alla parole". Poi, per "Porta a Porta" dovetti lottare moltissimo perché volevano affidare una striscia di seconda serata tutta a Carmen Lasorella. Poi diedero tre serate a lei e due a me".
Adesso c’è in ballo il rinnovo del suo contratto, con l’intento da parte dei vertici Rai di ridimensionare il suo compenso. Era previsto dopo l’approvazione del piano industriale…
"Se ne sta discutendo…"
Ha fatto pace con il direttore del Tg2 Carlo Freccero che l’ha accusata di essere il dominus dei palinsesti?
"Ma sì, io e Freccero ci vogliamo bene".
Tornando alla Luna, ci andrebbe, potendo?
"Credo che sia un posto triste, e che sia più affascinante guardarla da qui. Forse mi piacerebbe andarci per guardare la bellezza della Terra da lì. Per chi crede, questo nostro posto così diverso dagli altri ti fa capire perché il Padre ha mandato il Figlio proprio qui".
Nel suo libro scrive che in quel lontano luglio del ’69 si sentiva come "Totò il bambino di Nuovo cinema Paradiso che guarda di nascosto lo spettacolo più bello del mondo"…
"Sì e nel libro ho messo tutto, emozioni, cronaca e retroscena. A partire dal surreale scambio di battute tra Tito Stagno e il mitico corrispondente dagli Stati Uniti Ruggero Orlando sull’effettivo momento in cui il Lem di Apollo 11 era approdato sul suolo lunare, con Stagno che disse per primo "ha toccato" , gelato da Orlando con il suo "non ha toccato", e il relativo battibecco tra i due che coprì l’annuncio di Armstrong "Eagle has landed". E poi, insieme all’analisi della sconfitta dei sovietici che erano più avanti con la ricerca ma non arrivarono primi sulla Luna, ci sono informazioni sulla missione, a partire dal perché Armstrong mise piede sulla luna prima di Buzz Aldrin, momenti da brivido, con Aldrin che aggiusta un contatto elettrico con la punta di una biro, sventando il rischio di non riuscire a rientrare sulla Terra, e poi la paura del terzo astronauta Michael Collins rimasto sul modulo in orbita ad aspettare i colleghi, terrorizzato dalla possibilità di dover tornare sulla Terra da solo. E un grande ruolo l’ha avuto anche Oriana Fallaci, presente tra i duemila giornalisti stipati nel centro di controllo di Houston: era quasi una di famiglia per gli astronauti perché li aveva intervistati per scrivere il suo "Se il sole muore" molto prima del lancio. Era popolarissima".
Racconta pure che Stagno e Barbato a un certo punto si tolsero i pantaloni in studio.
"Accaldati per l’interminabile diretta si tolgono le giacche e richiamati all’ordine dal direttore del Tg1 Willy de Luca, se le rimisero ma si sfilaroni i pantaloni, rimanendo in slip e calzini, confidando nella ripresa a mezzobusto".