C osa accomuna un 'tagliatore di teste' che è abituato a "distrarre" amministratori delegati, un'archivista dalle molteplici personalità, un uomo che non vuole amare e che viene travolto dall'amore e uno scrittore che non scrive più e si sente sempre più inadeguato in questo mondo? Probabilmente il dolore, la consapevolezza di un fallimento, di aver buttato la vita, le proprie ambizioni, gli affetti o, forse, solo il tempo.
Tutto passa e si porta via la vita con i suoi tragici bilanci e le sue ingiustizie. Fino alla fine. O, come recita il titolo dello spettacolo in scena al teatro Cometa Off di Roma fino al 14 aprile, fino a 'La fine della fiera'. Quando i nodi vengono al pettine e si traggono le somme dell'esistenza.
Un testo potente, quello scritto da Daniele Prato e Francesca Staasch dieci anni fa e oggi messo in scena ancora una volta (come nel 20010) da Riccardo Scarafoni che stavolta non sale sul palcoscenico ma si dedica solo alla regia, affidandosi all'estro e alla bravura dei suoi attori: Alice Bertini, Jesus Emiliano Coltorti, Simone Crisari e Gianluca Machelli. E lo fa con una maturità nuova, senza sbavature, consegnando al pubblico quattro personaggi, quattro monologhi, quattro anime che si incrociano, si alternano e si raccontano sotto l'occhio di bue, a volte sembrano inseguirsi ma non si incontrano mai fino alla fine, fino all'epilogo tanto inatteso quanto naturale.
Scarafoni ha sempre avuto un talento particolare nel dirigere gli attori. Una qualità dovuta al fatto che è prima di tutto attore egli stesso, poi doppiatore (sue le voci, tra l'altro, di Damian Lewis nella serie tv 'Homeland' o Owen Hunt in 'Grey's Anatomy' o Tom Hardy in 'Peaky Blinders'): questo fa sì che sia, prima ancora che un regista, un direttore di attori. Lui guida i suoi interpreti, assecondando le loro caratteristiche, senza cercare di plasmarli o cambiarli. E così il risultato è stupefacente. Perché i quattro personaggi in scena alla Cometa Off sono dei soggetti disturbati, caratteri forti e sprezzanti e, al contempo, deboli ed estremamente drammatici. Quasi tragici. Che all'inizio appaiono divertenti, addirittura comici (esilarante l'interpretazione della pornostar spagnola di Alice Bertini) e poi, in un decrescendo cupissimo, in cui lo spettatore viene sprofondato in uno stato sempre piu' angoscioso man mano che entra nella vita e nella mente dei quattro in scena, si arriva alla 'fine della fiera'.
Sul palcoscenico essenziale, con quattro pedane di legno e altrettanti sgabelli, i personaggi si presentano e parlano. Parlano delle loro vicende, del loro rapporto col mondo, dei loro affetti e del loro dramma. Gli autori li descrivono paragonandoli ad animali (e giocando col titolo stesso della piece, 'La fine della fiera'), eppure la loro umanità li porta ben oltre l'identificazione. Abbiamo l'uomo capace solo di odiare, lo 'squalo', la cui metamorfosi da sarcastico e cinico 'tagliatore di teste' a essere umano che scopre la natura di se stesso e del proprio lavoro viene resa magistralmente da Jesus Emiliano Coltorti. Il suo personaggio è il più deciso, il più netto e quindi la sua trasformazione è anche la più straordinaria.
Poi c'è l'archivista dalle molteplici personalità, il 'camaleonte', una sorprendente Alice Bertini che regala ad ognuno dei personaggi che interpreta un'anima intensa. Ed e' bravissima nel passare dalla comicità alla drammaticità, dall'ilarità alla felicità fino al dolore più estremo. Grandissima prova di attrice la sua.
Poi c'è l'uomo che scopre di essere capace solo di amare, il 'cane', interpretato da Simone Crisari. Qui il lavoro di Scarafoni si nota più degli altri. Forse perché è il personaggio che ha interpretato nove anni fa o forse perché è quello che più gli assomiglia (o "non" gli assomiglia) non solo fisicamente. In scena Crisari descrive un ventaglio di emozioni che non scorrono sulla stessa linea temporale: si passa dalla gioia alla disperazione, dal disagio di coppia all'angoscia dell'assenza, dal senso del dovere al piacere dell'amore. Il tutto con grande equilibrio, senza mai salire di tono o esagerare. Laddove sarebbe possibile.
Infine il 'lupo', l'ex scrittore, interpretato da Gianluca Machelli, capace di rendere in maniera lineare il suo personaggio che passa dal disagio iniziale dovuto a una frustrazione a quello dell'uomo senza lavoro, senza affetti, senza casa. Interessante la scelta di Scarafoni di far mantenere al personaggio un tono sempre dimesso, un po' distante, quasi fosse un estraneo a narrare la sua stessa storia. E allo stesso modo l'epilogo drammatico arriva senza sussulti, quasi atteso. Necessario.
Come questo spettacolo che riesce a far percorrere allo spettatore un'intera autostrada di sensazioni, dalla risata al pianto, dalla commozione all'angoscia, in poco più di un'ora. Gran bel viaggio.