F are teatro in Italia, per una compagnia medio-piccola, è un’impresa a perdere. E non importa se lo spettacolo che metti in scena registra praticamente il tutto esaurito per circa due settimane, né se il pubblico apprezza, i critici si dicono entusiasti, fioccano recensioni e servizi tv e il tema affrontato merita ampio risalto. Perderai dei soldi: è matematico. A spiegarlo all’AGI è Riccardo Scarafoni, doppiatore, attore, regista e produttore teatrale, protagonista lo scorso ottobre di uno degli spettacoli di maggiore successo della stagione teatrale romana al Teatro Cometa Off, ‘Il condominio di Giulia’ di Francesca Staasch, diretto dallo stesso Scarafoni, anche interprete insieme a Veruska Rossi, Fabrizio Sabatucci, Fabiana Bruno, Ughetta D'Onorascenzo e Gabriele Linari. Tutti attori professionisti, spesso comparsi anche in film e fiction tv.
Per capire l’impresa ‘a perdere’ l’attore e doppiatore romano (è la voce, tra gli altri, di Tom Hardy in ‘Peacky Blinders’ e Orlando Bloom in ‘Carnival Row’, oltre che di Christian Bale nel film 'Amsterdam') ci illustra in dettaglio i numeri dello spettacolo: ‘Il condominio di Giulia’ è stato in scena per 12 repliche a cui hanno assistito circa 1.000 persone, nove sold-out su 12 spettacoli alla Cometa Off, un teatro d 100 posti. Incasso finale 12.300 euro a fronte di una spesa effettiva di 18.500 euro. Perdita netta (escluse spese di rappresentanza, cene con cast, e similia) di 6.200 euro.
“Tutti quelli che ruotano intorno allo spettacolo ci guadagnano, tranne chi lo fa. La compagnia è un pollo da spennare – spiega Scarafoni - per andare pari non dovevo fare scene e costumi, per questo si vedono in scena spesso spettacoli con due attori, un secchio e una sedia per scenografia”. Quello che pesa come un macigno sul budget di uno spettacolo teatrale, infatti, sono le cosiddette “spese irrinunciabili”. Vediamo allora il dettaglio delle spese e degli incassi per ‘Il condominio di Giulia’, andato in scena dal 18 al 30 ottobre al teatro Cometa Off di Roma.
Per l’affitto il teatro chiede il 30% con minimo garantito di 200 euro (se non c’è incasso, la produzione deve comunque pagare il teatro). Poi la cosiddetta “scheda tecnica” (luci, proiettori, altoparlanti, ecc.) da affittare a meno che non si porti il proprio service. “Nel mio caso – spiega Scarafoni, che è anche produttore dello spettacolo - il Cometa Off è fornito, ma ho dovuto comunque portare tre motorizzati e un proiettore, con un’ulteriore spesa”. Il teatro, poi, chiede un lunedì di montaggio (200 euro per l’affitto per il primo lunedì) per cui “si arriva al 38% circa degli incassi che vanno allo stabile”.
Poi interviene “a gamba tesa” la Siae, spiega Scarafoni: “Per un teatro di 100 posti ci hanno chiesto 1.900 euro, il 10%. A questo si aggiungono le musiche – prosegue - abbiamo dichiarato di usare brani sotto i 4 minuti ma si sono presi 25 euro al giorno per le musiche. Se avessimo superato i 4 minuti il costo sarebbe aumentato ulteriormente”. Poi intervengono Inps e Inail. “Per otto persone in agibilità, due tecnici e sei attori, abbiamo speso 2.250 euro. Una spesa – sottolinea – imprescindibile che è ovviamente proporzionata al numero delle persone. A questi soldi, però, anche se ufficialmente non c’è obbligo, di fatto sei costretto ad aggiungere l’onorario di un consulente del lavoro – spiega ancora - perché io non posso dichiarare l’agibilità sull’Inps: serve uno che si occupi di apertura e chiusura Inps e questo ha un costo. Al netto la spesa è sui 700 euro”.
Quest’anno, dice ancora Scarafoni, “abbiamo trovato anche la sorpresa che ci siamo dovuti affidare obbligatoriamente a una piattaforma online”. “Anche se dietro consiglio del teatro abbiamo scelto CiaoTicket, la più economica – spiega – il prezzo del biglietto di prevendita online è aumentato di 1,50 euro. Alla fine delle rappresentazioni questi signori ci hanno mandato una fattura di 1.000 euro di prevendita”, racconta. “A questo, poi, si aggiunge la tessera obbligatoria del teatro di 2,50 euro per un totale di 4 euro di sovrapprezzo che non entra certo nelle nostre tasche”, spiega.
Riassumendo: con questi extra costi, per assistere allo spettacolo al Cometa Off un adulto ha speso 15,50 euro più 4 euro (o 2,50 se il biglietto è stato fatto al botteghino). A parte la percentuale sul prezzo base (15,50 euro) versata al teatro, la produzione ha anche sostenuto un’altra spesa che ha ‘alleggerito’ il guadagno: “Mi hanno costretto ad acquistare, essendo io l’organizzatore dello spettacolo, un SamUp per gli spettatori che pagano con carta di credito o bancomat. E mi costa il 2% di ogni transazione”.
Finito? Neanche per sogno. “Se hai l’ambizione di fare una scenografia e far indossare agli attori dei costumi come abbiamo fatto nel ‘Condominio di Giulia’ – spiega Scarafoni - seppure comprando da Ikea o aggiustando costumi che si avevano ed economizzando al massimo, la spesa va per le scene dai 3.500 ai 4.000 euro, mentre per i costumi abbiamo speso circa mille euro grazie anche ai favori chiesti perché - ci tiene a sottolineare – la parola d’ordine di ogni spettacolo teatrale tra attori e produzioni è: ‘fammi un favore’”. A tutto questo, si deve poi aggiungere una spesa minima per la promozione: “Per 100 locandine e 5.000 volantini online, stampati su carta comunque decente (non volantini del supermercato, per intenderci) ho speso altri 650 euro”.
E gli attori, l’ufficio stampa e i tanti professionisti che hanno lavorato allo spettacolo? Una spesa che, calcola Scarafoni, si dovrebbe aggirare minimo sui 25mila euro (considerando un compenso di 50-70 euro per gli attori a sera). Una cifra considerevole che non è stata pagata perché tutti hanno lavorato gratis. “Non ho pagato gli attori professionisti ai quali ho solo versato i contributi. E loro, come si usa, hanno firmato la ‘rinuncia ai compensi’ – spiega Scarafoni – idem per quanto riguarda la scenografa, la costumista, il regista, l’aiuto regista, l’affitto della sala prove (spesa evitata perché è mia), il fotografo, l’ufficio stampa. Solo per questo è stato possibile fare lo spettacolo”.
Al termine dell’elenco, la domanda che sorge spontanea è la seguente: perché mettere in scena un testo teatrale sapendo di perderci dei soldi e l’unica incognita, a seconda che sia un successo o sia un flop, è l’ammontare della remissione economica? “Faccio una premessa: chi fa teatro non lo fa né per soldi né per fama – spiega Scarafoni - anzi sono gli stessi stabili che cercano nomi famosi, se possibile personaggi noti della tv o del cinema, per fare soldi. Nessuno vive di teatro, a meno che non sia un grande nome come Gabriele Lavia, che però ha più di 80 anni… Non si campa di teatro, insomma – aggiunge - lo fai per motivi personali. Il mio è guarire: mi curo in questo modo. E’ terapeutico: mi fa bene al cuore e all’anima e alle persone che mi circondano. Mi fa bene anche perché voglio dire qualcosa e posso farlo attraverso il teatro”, aggiunge.
Per quanto riguarda l’aspetto economico, inoltre, Scarafoni segnala all’AGI una evidenza che sembra paradossale: “Quando anni fa sono andato dal mio commercialista dicendogli che ero andato in perdita con un altro spettacolo – racconta l’attore e regista romano che fa questo mestiere da quasi trent’anni – lui ha detto: ‘Meno male!’“.
Mi sono stupito ma poi ho capito il motivo: io ho un’attività fiorente che è il doppiaggio – spiega - se certifico spese per un’attività in perdita come il teatro, le tasse le pago sul guadagno meno la spesa del teatro. In più mi scarico altre spese sulla partita Iva: convoglio la perdita nel guadagno del doppiaggio”. Tutto questo, spiega ancora, significa che "con questo spettacolo ho potuto scaricare dalle tasse da versare 1.379 euro. In più ho l’Iva che mi sconta 507 euro”. Grazie anche a queste detrazioni, quindi, Scarafoni ha pagato, per portare in scena uno spettacolo di grande successo con sei attori, recitando per 12 serate dopo averlo preparato per settimane nella sua saletta prove, una cifra che si aggira sui 4.400 euro. “Tutti ci hanno guadagnato tranne noi attori e chi davvero ha fatto lo spettacolo”, ribadisce.
Un quadro desolante, dunque, quello raccontato all’AGI dal regista e attore romano. Ma ci sono alternative alla perdita economica? “Se invece di recitare in un teatro da 100 posti per dieci sere reciti in uno da mille per una sera, ovviamente le spese, almeno quelle fisse, si riducono drasticamente”, spiega. Ma è difficilissimo per una compagnia, seppure di attori professionisti, avere accesso ai grandi stabili perché, racconta, “questi preferiscono compagnie con nomi importanti o di grande attrattiva".
"Una scelta anche comprensibile – ne conviene Scarafoni - perché oltre agli attori, a rischiare sono anche i teatri stessi. Nel suo piccolo, per esempio, la Cometa Off ha rischiato ospitando noi: se non avessimo fatto il tutto esaurito praticamente sempre le spese di gestione avrebbero potuto superare gli incassi, venuti anche grazie alle tessere”.
Capitolo sponsor. “Negli anni scorsi ne avevamo uno che ci ha dato una mano, una banca – racconta il regista e attore – ma quest’anno no. Adesso come adesso, purtroppo, in questa mia dimensione di compagnia teatrale, non hanno interesse a sponsorizzarlo. A che serve mettere sulle locandine un logo che non vedrà nessuno?”, aggiunge. E per quanto riguarda i finanziamenti pubblici? Scarafoni ricorda che “ci sono i bandi dell’Imaie che ti danno una bella mano, ma quest’anno non è uscito per gli spettacoli teatrali come il nostro. Poi c’è il bando regionale – prosegue – al quale però è quasi impossibile accedere perché serve un esperto solo per farlo interpretare. Quello dell’Imaie – ribadisce - è l’unico bando reale che ti aiuta, anche se la cifra non è mai enorme: l’ultimo era per un massimo di 20.000 euro a presentazione delle fatture, con un anticipo di 4.000 euro. E’ difficile accedere, ma io l’ho preso diverse volte”.
La crisi del teatro, che emerge in tutta la sua drammaticità anche da questa chiacchierata dettagliata che l'AGI ha fatto con uno dei protagonisti delle scene romane, ha portato in questi anni alla chiusura o al momentaneo stop delle attività di numerosi stabili storici capitolini, dall’Agorà al Colosseo, dal Piccolo Eliseo alle Stanze Segrete a La Cometa. Per capire se c’è una soluzione possibile, ci rivolgiamo ancora a Riccardo Scarafoni che, letteralmente ‘a sue spese’, ha maturato delle idee che nell’ambiente del teatro sono comuni. La tesi fondamentale è la seguente: “La spesa obbligata distribuita tra Inps, Siae, Enpals o Inail è sproporzionata: bisognerebbe regolamentare questi pagamenti a seconda della situazione e della grandezza di un teatro perché - spiega - se su un potenziale di 1.000 persone mi togli il 20% dell'incasso, vuol dire che due sere ho lavorato solo per pagare le tasse”.
“Personalmente sarei per non dare soldi a tutti con i finanziamenti – la sua posizione - perché finisce che i soldi arrivano solo a pochi ed è inutile mettersi sul mercato se è dopato. Penserei piuttosto a decurtare le spese fiscali con degli sgravi, magari con un bonus tipo quello per le caldaie o per le ristrutturazioni, se hai rispettato certi parametri. Un esempio? Il numero di attori che porti in scena. Diciamo che devi fare un minimo di 20 borderò, ossia 20 pagamenti: all’Inps paghi una certa cifra e te ne ritorna la metà. Meglio che passare per il bando”, conclude.