"Prigioniero 174517. Sono vivo!". Primo Levi incende nella notte piovosa di Palermo. Sotto i portici di Villa Filippina, divenuti teatro improvvisato, sostituti di un cielo reso nero da nubi cariche d'acqua. L'imprevisto ha reso forse più forte l'impatto con il chimico-scrittore interpretato dal giovane e intenso Andrea Argentieri che ha percorso per tutta la rappresentazione, avanti e indietro, il lungo 'corridoio umano' degli spettatori sistemati ai lati.
Spettatori parte della scena, giornalisti per una sera, chiamati a porre domande pescate casualmente da un elenco fra quelle a cui l'autore di "Se questo è un uomo" ha risposto nella sue interviste custodite soprattutto negli archivi Rai. Domande e risposte riproposte fedelmente. L'effetto è di ritrovarsi dentro la continuità di un tempo ancora vitale, che non ha perso mordente perché si nutre di un'attualità che inquieta.
Argentieri, nell'opera "Se questo è Levi" diretta da Luigi De Angelis e realizzata da Fanny & Alexander, a partire dai documenti audio e video, veste i panni dello scrittore, assumendone la voce, la gestualità, le posture, i discorsi in prima persona. E' l'esperienza del resoconto vissuta a tu per tu con Primo Levi che, spiegano gli autori, a partire dal vincolo di verità che lo ha ispirato nelle sue opere, riporta la sua condizione di deportato ad Auschwitz con una tecnica di testimonianza lucidissima, di essenzialità della memoria, capace di esprimere l'indicibile.
Un microfono viaggia da un punto all'altro, laddove qualcuno intenda dare voce ai quesiti che, insieme alle risposte, impongono l'attualità, la potenza e la necessità di una testimonianza, quella di Levi. E non solo.
"Lei pensa che siano ancora possibili le atrocità dei lager?". Levi-Argentieri tiene per tutto il tempo un registro pacato, a volte leggero, qua e là punteggiato persino da ironia, quasi a volere tenere a bada un mostro vorace che divora l'anima; e a volere impedire che l'orrore possa neutralizzare l'urgenza di una missione, quella della memoria che ha bisogno per essere custodita e trasmessa di lucida e spietata ragione.
A quella domanda lo scrittore risponde evocando "i nuovi fascismi", il pensiero ancora resistente di una umanità diseguale, dove la differenza alimenta la distanza, la non accettazione, il respingimento, la ghettizzazione. "Dove questo verbo attecchisce - avverte - alla fine c'è il lager".
E allora, è l'altra domanda che scatta: che cos'è la memoria? "La memoria è un dovere. Per tutti gli uomini", soprattutto per chi è scampato ai lager: "Si mancherebbe al dovere di trasmettere quello che si è vissuto. Avviene una lenta degradazione del ricordo. Chi è stato ferito tende a rimuoverlo; chi ha ferito tende ad affossarlo" per mitigarne la portata.
Ma "l'offesa è insanabile e si riproduce nel tempo", infliggendo una pena perpetua. Eppure, ha risposto ancora, Primo Levi ci ha provato: "Sentivamo il bisogno di buttarci alle spalle il passato e cominciare di nuovo".
Ma lui era "tre cose simultaneamente: "Fidanzato, chimico e un libro. 'Se questo è un uomo nasce' dall'esigenza di lasciare una traccia". La sua voglia di scrivere, di raccontare - è stato un altro quesito posto - che peso ha avuto nel ricominciare a vivere? "Sono tornato, sono sopravvissuto per lo scopo di scrivere. Ho cominciato a farlo nel lager, di nascosto, perché non si poteva scrivere e chi lo faceva veniva accusato di spionaggio. Ma la sensazione che ho è che io sia sopravvissuto per questo, per raccontare quello che ho vissuto".
La tentazione e la manovra negazioniste, infatti, sono sempre in agguato. Le cose che lei racconta sono realmente accadute? "Direi proprio di sì", è la risposta paziente di Primo Levi. "Alberga spesso la sensazione che tutto questo non sia accaduto, che sia un romanzo. Allora devi chiamare qualcuno per confermare e questi lo fa... Sì, sono cose veramente accadute!".
E "il fascismo di oggi è a un passo dal diventare quello di ieri, accade ogni volta che avviene la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza". Il lager, in fondo, "è il fascismo integrato, completato, il suo coronamento". "Prigioniero 174517. Sono vivo. Per un scopo, parlare e portare testimonianza"